Non credete a chi vi dovesse raccontare che al 76esimo Festival di Cannes ci sono solo capolavori. Dopo due giorni di concorso, il livello è di una dignitosa medietà (non mediocrità!), diciamo intorno al 7 meno meno. E la media si innalza grazie al 7 e mezzo che ben volentieri si può assegnare a Mostro (il titolo giapponese è Kaibutsu, quello internazionale è Monster, ma perché non tradurlo?), il nuovo film del giapponese Hirokazu Koreeda già vincitore della Palma d’oro nel 2018 con l’ottimo Un affare di famiglia.
I “mostri” del titolo sono due bambini “difficili”, convinti di essere diversi dagli altri. Minato, il protagonista, è addirittura convinto che nella sua testa sia stato trapiantato il cervello di un maiale. Pare che il colpevole di tutto sia un professore di scuola che li ha maltrattati, e la mamma di Minato, Saori, protesta energicamente con la direttrice e con i dirigenti scolastici, che però si limitano a profondersi in inchini e scuse formali. Poi, un bel giorno, i due bambini spariscono…
Questa trama, che potrebbe sembrare lineare, nel film è narrata in tre blocchi che vanno avanti e indietro nel tempo, tentando di raccontare la storia da vari punti di vista. Sembra che Koreeda voglia tentare l’impossibile: riproporre la struttura narrativa del celeberrimo Rashomon di Akira Kurosawa, ovvero uno dei capolavori della storia del cinema che dovrebbe essere proibito, per legge, imitare. Il risultato è che Mostro è molto affascinante ma altrettanto misterioso, con passaggi narrativi che richiedono un notevole sforzo ermeneutico anche allo spettatore più smaliziato. E l’ermeneutica – parola difficile che significa “interpretazione del testo”, e che usiamo per gioco – è, al cinema, una bruttissima bestia.
La parte più bella del film è la terza, dove i bambini sono in scena da soli, e i piccoli interpreti sono meravigliosi. E speriamo di non rovinarvi nulla rivelandovi che la parola chiave, alla fine, è “reincarnazione”. Koreeda aveva realizzato 25 anni fa, nel 1998, un film stupendo che ci è rimasto nel cuore, After life, nel quale si immaginava che le persone morte andassero in una sorta di limbo dove avevano a disposizione una settimana di tempo per rivivere un unico, piacevole ricordo da conservare per l’eternità.
Questo regista ha un modo dolce e coinvolgente di immaginare l’aldilà, e la grande domanda sul “dopo” è la vera sostanza poetica anche di Mostro. A rendere tutto ancora più struggente è la colonna sonora di un gigante, Ryuichi Sakamoto, alla cui memoria il film è dedicato. Ed è bello pensare che idealmente il sommo musicista si sia reincarnato in questo film, che non è riuscito al 100 per 100 ma potrebbe colpire i giurati, e ripresentarsi (reincarnarsi?) durante la premiazione di sabato prossimo.
Mostro, regia di Hirokazu Koreeda
Voto: 3 stelle su 5
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