Narcolessia, addormentarsi di colpo e in qualunque circostanza: ecco perché accade

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“I primi segnali li ho avuti a 7 anni, la diagnosi a 21: per 14 anni – spendendo migliaia di euro per psicologi, psichiatri, neurologi – la mia patologia è stata confusa per depressione, epilessia, disturbo bipolare, abuso di sostanze, o pigrizia. Nel frattempo, la scuola era un disastro e il mio senso di frustrazione enorme”, racconta Massimo Zenti, che oggi ha 36 anni ed è presidente di Ain, Associazione Italiana Narcolettici. La narcolessia è una malattia rara che colpisce circa 4 persone ogni 10 mila, e molto sottostimata: in Italia i casi con diagnosi certa non superano i 2000.

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I narcolettici sono soggetti ad attacchi di sonno incontrollabile e quattro volte su cinque soffrono di cataplessia: perdono le forze fino a crollare a terra dopo un’emozione piacevole, basta una semplice risata. Hanno sonni notturni disturbati, e al momento del risveglio o appena prima di addormentarsi possono avere allucinazioni, uditive e anche visive.

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“La narcolessia è un disturbo del sonno dovuto a un danno del sistema nervoso centrale. Ha una natura quasi certamente autoimmune, più del 50% dei pazienti presenta i sintomi già a 12 -14 anni, ma il tempo medio che intercorre tra la comparsa dei segnali e la diagnosi supera i 10 anni”, dice Giuseppe Plazzi, neurologo, professore di Neuropsichiatra infantile all’università di Modena e Reggio Emila, direttore del Centro di Medicina del Sonno dell’ospedale Bellaria di Bologna.

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Nel 2019 Plazzi ha co-firmato un articolo pubblicato su Neurological Science che ha individuato le i segnali della malattia che dovrebbero indirizzare il paziente verso un percorso diagnostico mirato. La diagnosi di narcolessia consiste in un paio di test da effettuare in un centro di medicina del sonno: la polisonnografia e il test delle latenze multiple pre-addormentamento, che valutano la facilità ad addormentarsi e in quale fase di sonno ci si addormenta.

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Chi è affetto da narcolessia, infatti, prende sonno a una velocità patologica ed entra subito in fase Rem, quella dei sogni, senza passare per il sonno profondo, come dovrebbe invece essere. “Oltre allo studio del sonno, la diagnosi può richiedere il dosaggio dell’orexina nel liquor prelevato con puntura midollare”, riprende Plazzi. L’orexina è una piccola molecola che ha la funzione di mantenere lo stato di veglia ed è sintetizzata da circa 7 mila neuroni localizzati nell’ipotalamo, “neuroni – aggiunge il neurologo – che nei narcolettici non ci sono”.

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Non si guarisce dalla narcolessia, “però ci si convive – dice l’esperto – visto che abbiamo diversi farmaci che riescono a controllarne i sintomi e agiscono potenziando il sonno notturno, cioè riducendo l’eccessiva sonnolenza diurna, o promuovendo la veglia. E poi ci sono strategie di comportamento, come concedersi brevi pause di sonno durante il giorno, che aiutano i pazienti a migliorare la loro vita”.

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Che può essere complicata: parliamo di un disturbo che impatta sensibilmente sul piano sociale, affettivo, professionale e scolastico. “Per questo, chi soffre di narcolessia – riprende il presidente Ain – ha bisogno di essere riconosciuto e trattato precocemente nei centri di medicina del sonno possibilmente da team multidisciplinari. Pochissimi. E ha diritto ai farmaci ovunque viva. Ma oggi non è così”.

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