Navi e aerei della Nato all’inseguimento del sottomarino di Mosca nel Canale di Sicilia

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Mille miglia sotto i mari, in un lunghissimo duello negli abissi. Non è la sfida apocalittica di “Caccia all’Ottobre rosso”, ma le missioni per tallonare il sottomarino russo che in questi giorni sta viaggiando dal Baltico alla Siria la ricordano da vicino. Da più di tre settimane aerei e navi della Nato si alternano per seguire il “Rostov sul Don”, un battello lanciamissili della classe Kilo. Monitorano i movimenti dell’imbarcazione d’appoggio che l’accompagna nella trasferta e ogni volta che individuano la posizione del Rostov si accaniscono per pedinarlo. Da quando la flotta di Mosca ha rimesso piede nel Mediterraneo non c’era mai stato un simile schieramento di mezzi statunitensi, canadesi, inglesi, francesi, italiani, greci. E anche se mancano dichiarazioni ufficiali, l’operazione sembra volere trasmettere un messaggio chiaro al Cremlino: le sortite dei micidiali sottomarini Kilo non resteranno più indisturbate.

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I tracciati degli aerei che inseguono il “Rostov sul Don”  

Il primo avvistamento è avvenuto nel Canale della Manica. A fine febbraio il pattugliatore britannico Mersey si è messo sulla scia del Rostov, che navigava in emersione. Poi, superato lo stretto, l’unità è scesa in profondità: può arrivare anche a 240 metri. Gli è però andata incontro il “Professor Nikolaj Muru”, la più moderna nave da soccorso della marina russa sospettata di servire anche come piattaforma dell’intelligence: uno strumento per spiare chi cerca di inseguire il sottomarino. La “Muru” si è fermata per alcuni giorni a metà gennaio poco distante da Pantelleria, poi ha varcato Gibilterra aspettando l’arrivo del sottomarino. 

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Nell’Atlantico, dopo la Royal Navy sono entrate in azione la marina francese e una fregata canadese. Molti appassionati che seguono le rotte di navi e aerei grazie ai siti di monitoraggio – tra cui Italmilradar – hanno diffuso aggiornamenti sulla caccia. Il 5 marzo un ricognitore statunitense Boeing P-8 Poseidon ha agganciato il sottomarino, volando in cerchi stretti sulla sua posizione di fronte a Faro. In genere, in queste missioni vengono sganciate delle boe munite di sonar che riescono a cogliere gli spostamenti sotto le onde. Per tre giorni i velivoli lo hanno seguito mentre varcava le Colonne d’Ercole: il 7 marzo era già davanti a Melilla. 

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Poi il Kilo si è spinto nel Canale di Sicilia. Una mossa provocatoria. Nello stesso momento in quelle acque si stava tenendo la più grande esercitazione Nato di lotta subacquea, chiamata Dymanic Manta, con la presenza di mezzi di tutta l’Alleanza. Non solo. Anche la portaerei statunitense Eisenhower e quella francese De Gaulle stavano dirigendosi nella stessa zona. Il visitatore russo ha fatto zig-zag a poca distanza dall’area del wargame, tra Malta e la Tunisia. Poi quando le manovre si sono concluse ha ripreso la crociera verso Oriente.

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Il 13 e il 14 marzo sono intervenuti un EP-3 Orion dell’Us Navy e due velivoli dell’Aeronautica italiana: un pattugliatore navale P-72 e un Beech 350 da sorveglianza elettronica. Questa mattina è stata la volta dell’aviazione ellenica, con un radar volante Embraer che lo ha individuato nel Mar Ionio. Ed è probabile che la sfida proseguirà nei prossimi giorni, con voli degli aerei americani basati a Sigonella e a Creta: gli stessi che spesso si spingono di fronte a Tartous per controllare la presenza russa.

Ormai è dal 2015 che almeno una coppia di Kilo è sempre attiva nel Mediterraneo, segnando il ritorno della flotta di Mosca nelle acque che aveva abbandonato un quarto di secolo prima. Sono battelli a propulsione diesel lunghi 70 metri, particolarmente silenziosi, tra i più moderni in servizio nella marina russa: possono andare avanti per 740 chilometri prima di dovere emergere. L’ultima versione – a cui appartiene il Rostov – è stata ribattezzata dall’Us Navy “Black Hole” – buco nero – perché riesce facilmente a far perdere le sue tracce. 

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Oltre ai siluri, possono lanciare missili a lungo raggio Kalibr, particolarmente temuti perché colpiscono a una velocità che sfiora tre volte quella del suono. Più volte, per dimostrare le nuove capacità della flotta, queste armi sono state utilizzate per bombardare i capisaldi siriani dell’Isis. Nel dicembre 2015 proprio il Rostov ha segnato un primato: per la prima volta in assoluto, un attacco missilistico russo è stato scagliato dall’interno del Mediterraneo. E il video è stato subito diffuso dalla propaganda del Cremlino, con i Kalibr che partono dal sottomarino e poi centrano i depositi dello Stato islamico a Raqqa.
Negli scorsi anni l’ammiraglio James Foggo, all’epoca comandante della flotta statunitense e di quella Nato, ha spesso denunciato la minaccia strategica rappresentata da questi mezzi: “I russi stanno schierando sottomarini moderni, silenziosi e in grado di lanciare i missili Kalibr. Un sottomarino classe Kilo può muoversi dovunque nelle acque del Mediterraneo e attaccare qualunque capitale europea e nord africana restando in immersione”. Finora però le iniziative militari del Cremlino sono sempre proseguite indisturbate. Adesso la “caccia al Rostov” sembra indicare un cambiamento: forse il primo segnale della nuova linea della presidenza Biden anche nel Mediterraneo.
       

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