‘Ndrangheta, fermata la moglie dell’imprenditore agricolo scomparso a Rosarno

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Non una scomparsa, ma un omicidio. L’imprenditore agricolo Agostino Ascone, il 27 dicembre scorso non si è allontanato, non è partito.  E’ stato ammazzato. E il suo è un omicidio maturato in contesto di ‘Ndrangheta. Ne sono convinti i carabinieri, che per ordine della procura antimafia  guidata da Giovanni Bombardieri, questa mattina all’alba hanno fermato la moglie di Ascone, Ilaria Sturiale, il suo amante Salvatore Antonio Figliuzzi, e il loro complice Giuseppe Trapasso.  

Tutti nomi noti in ambiente investigativo, soprattutto Figliuzzi. Uomo di spicco del clan Bellocco, la famiglia che da decenni asfissia Rosarno, era il marito di Maria Concetta Cacciola, una delle prime testimoni di giustizia calabresi, “suicidata” dalla sua famiglia, costringendola a bere acido muriatico. 

Di certo, non un matrimonio d’amore il loro. Sposata a tredici anni con Figliuzzi, il marito che la famiglia aveva scelto per lei, Maria Concetta si trova nel giro di pochi anni madre bambina e vedova bianca di un uomo in galera. Significa una pausa – racconta lei ai magistrati quando inizia a collaborare con la giustizia – da botte, violenze, vessazioni. Ma non dura a lungo. Perché quando il padre e il fratello iniziano a sospettare che lei abbia una nuova storia, sono loro a picchiarla, chiuderla in casa, impedirle di avere comunicazioni con chiunque. E poco importa che lei si lamenti con i suoi per i continui abusi del marito. “Un matrimonio è per la vita e te lo tieni”, le dicevano sempre. 

L’occasione per liberarsi arriva quando i carabinieri la convocano in caserma, dopo aver beccato il figlio senza patente. È in quell’occasione che lei fa sapere di voler collaborare, inizia a fornire informazioni sulla sua famiglia. Non solo quella di sangue, ma il clan. Nel giro di pochi giorni, viene portata via. Ma da sola, i figli rimangono a Rosarno. E diventano strumento per fiaccare la sua determinazione, costringerla a fare un passo indietro. Dopo qualche mese, “Cetta” Cacciola torna a Rosarno, viene costretta ad andare da un avvocato e registrare una completa ritrattazione. Qualche giorno dopo, muore. Ufficialmente è un suicidio. Non ha retto il peso dell’onta e dei guai provocati alla sua famiglia e ha bevuto un’intera bottiglia di acido muriatico. Una messinscena, si scopre anni dopo, quando tutti i suoi familiari, inclusa la madre, vengono arrestati per il suo omicidio.  

Il marito, Salvatore Antonio Figliuzzi, non è mai stato coinvolto in quell’indagine. In quegli anni era in carcere a scontare una condanna come affiliato del clan Bellocco.  Ma in ambienti investigativi, c’è chi non esclude che sia stato preventivamente informato della condanna a morte decretata per la moglie. Di certo, con la famiglia di lei non ha mai interrotto i rapporti. 

E lo stesso copione di sangue, è emerso dall’indagine dei carabinieri del Nucleo investigativo di Gioia Tauro e della Compagnia di Taurianova, che hanno lavorato con il supporto del Ris di Messina e dell’Anticrimine di Reggio Calabria –  si sarebbe ripetuto in questi mesi, a dicembre, quando insieme all’amante avrebbe deciso di far sparire il marito di lei. Una storia di lenzuola, ma forse non solo – filtra da ambienti investigativi – perché quell’omicidio è maturato in contesto di ‘ndrangheta. Sui dettagli dell’indagine al momento poco filtra, il fermo – disposto per motivi di urgenza – dovrà essere convalidato dal giudice per le indagini preliminari.  

Ma stando a quanto filtra, gli elementi contro i tre sarebbero solidi. Contro di loro ci sono mesi di conversazioni intercettate, risultanze tecnico scientifiche e l’esatta ricostruzione dei movimenti della vittima nelle ore che ne hanno preceduto la scomparsa. Piccoli tasselli che hanno composto il quadro che incastra Figliuzzi, la sua amante e il loro complice.  

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