Nel nome del padre (che non pronuncia più). L’ascesa di Piero De Luca dalla corte di Salerno a Roma

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Dicono che ormai non pronunci più il nome del padre. “Il governatore mi ha parlato bene di te…”: così Piero De Luca, deputato del Pd, 40 anni, evoca Vincenzo, il presidente della Regione Campania. Non per marcare minimamente una distanza: sarebbe impossibile, visto che l’identificazione politica tra padre e figlio è totale. Forse per far sentire all’interlocutore tutto il peso di quella carica che ormai da 6 anni, da quando l’ex sindaco di Salerno ha varcato per la prima volta il portone di Palazzo Santa Lucia, sede della giunta regionale, riduce il Pd campano a una proiezione diretta dei De Luca’s. E non c’è corrente o ascendente che tenga. Si alternano i segretari al Nazareno, da Matteo Renzi a Nicola Zingaretti fino a Enrico Letta, ma alla fine la strategia politica non cambia: si va alla corte di Salerno e si stringe un patto, altrimenti la regione – in termini di voti ovviamente – non si controlla.

Pd, effetto Letta a Napoli: così De Luca deve congelare le proprie mosse

Un patto tra padre e segretario che ormai si traduce in un incarico o un avanzamento di carriera al figlio. È quella la lancetta del termometro dei rapporti tra il governatore e il suo partito. Già, sarà pure una coincidenza: ma più il partito ignora o prova a ignorare le ambizioni di Piero, più il presidente lancia bordate, magari dal pulpito delle sue dirette social, ai danni dei dirigenti romani. E nell’ultimo anno e mezzo sono stati almeno tre i tentativi non andati a segno per De Luca junior: prima come sottosegretario del governo Conte II, poi sempre come sottosegretario nel governo Draghi e ancora come componente della segreteria di Letta. Un pressing asfissiante, a tratti snervante, che a ogni passaggio a vuoto ha moltiplicato la tensione tra De Luca e i dem napoletani. Fino al punto di rottura in vista delle Comunali a Napoli previste in autunno: il governatore che minaccia di correre con un suo candidato, contrario all’alleanza tra dem e M5s. Ora dal partito napoletano si augurano una navigazione più tranquilla se finalmente Piero conquisterà la vicepresidenza del gruppo alla Camera. Già: è il prezzo che il Pd deve pagare a De Luca per le elezioni a Napoli?

Di strada ne ha fatta il figlio Piero, macinando occasioni e aggirando ostacoli. Laurea in giurisprudenza, si specializza in Diritto dell’Unione europea e diventa nel 2008 referendario presso la Corte di giustizia Ue. Fa la spola tra Salerno, Bruxelles, Lussemburgo, con qualche puntata a Roma dove cresce nello studio legale “Clarizia e associati”, epicentro delle controversie italiane sugli interessi più seri della politica italiana. Ma è a Salerno che Piero inciampa in un guaio giudiziario: è a processo per bancarotta fraudolenta di Ifil, la società di consulenza che ruota intorno a vari appalti per opere pubbliche. I pm gli contestano di aver beneficiato di biglietti aree gratis per il Lussemburgo pagati da Ifil.

È il 2016 l’anno dello svolta politica: De Luca è da un anno al vertice alla Regione Campania, al governo c’è Matteo Renzi e il figlio si lega a doppio figlio al Giglio magico. In particolare all’allora potente sottosegretario di Palazzo Chigi Luca Lotti. De Luca jr diventa coordinatore in Campania del comitato per il Sì al referendum, sul palco il 9 luglio di quell’anno Piero introduce l’ex ministra Maria Elena Boschi, il governatore in prima fila. “Salutiamo tutti i presenti – dice il figlio alla platea – è arrivato il presidente della Regione…”. Sorridendo sornione e inaugurando “la terza persona” del padre. Andrà male il referendum, ma l’impegno di PIero verrà premiato. Politiche del 2018, De Luca junior è in lista per il parlamento. Il retroscena racconta che sia direttamente il padre a contrattare la candidatura con Renzi. Con il salvagente incorporato: già, perché Piero si batte al collegio uninominale di Salerno dove perde col candidato dei 5stelle ma conquista lo stesso lo scranno alla Camera grazie al piazzamento nel listino bloccato a Caserta. È l’evento che sconquassa il Pd campano, polemiche e mal di pancia.

Tra i principali accusatori un giovanissimo dirigente dem, portavoce allora del ministro Andrea Orlando, che lamenta di essere stato sacrificato in lista per far posto a quelli come Piero De Luca: si tratta di Marco Sarracino, che poi diventerà segretario del Pd napoletano, ruolo che attualmente ricopre in conflitto latente, anche se permanente ed effettivo, con i deluchiani. Entrato in parlamento, De Luca junior farà riferimento nel Pd alla corrente interna dei renziani, Base Riformista, coordinata da Lotti e Lorenzo Guerini. Così nel 2019, alle Europee, l’ex segretario Zingaretti chiede al governatore l’impegno per l’elezione di Franco Roberti, capolista del Pd nella circoscrizione meridionale, ma il figlio Piero non nasconde di far campagna elettorale per un altro candidato: Giosi Ferrandino legato a Base riformista. Tutto calcolato: padre e figlio fanno gioco di squadra per gestire la loro macchina di consensi. E dopo la riconferma di De Luca in regione a settembre con quasi il 70 per cento dei consensi, il figlio avanza eccome. Ha sempre più voce in capitolo sugli assetti del partito, sulle future amministrative, briga per un suo candidato a Salerno (il segretario del partito, ndr) e sgomita a Roma.

Non c’è posto per lui come sottosegretario? I De Luca’s iniziano a contattare gruppi di parlamentari per costruire una loro corrente nel Pd. Non si sentono più garantiti, il governatore aleggia come uno dei pretendenti alla segreteria dem al posto di Zingaretti. Poi arriva Letta, col quale De Luca aveva precedenti sfavorevoli quando era al governo, ma si trova la quadra per Piero: ormai a un passo dalla vicepresidenza della Camera. In un accordo di correnti tra Graziano Delrio, Dario Franceschini e gli ex renziani di Base riformista. Dove arriverà il rampollo di De Luca? Per i maligni c’è da stare attenti all’ombra del fratello minore Roberto, l’ex assessore al Comune di Salerno, che fu costretto alle dimissioni dopo l’indagine su appalti per i rifiuti scaturita dalla video inchiesta di Fanpage: vicenda dalla quale Roberto è stato archiviato. Tra i fratelli pare non corra più buon sangue. “Roberto è il cocco di mamma, Piero ha il rapporto più stretto col padre”, dicono i bene informati. Il dilemma classico delle dinastie: ci penserà il governatore chiedendo soccorso prima o poi al Pd anche per l’altro figlio? Chissà. Di sicuro, quello che la famiglia dissolve, il partito risolve in casa De Luca’s. Ma questo è un altro capitolo della storia.

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