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Nella testa del mancato kamikaze di Parigi

PARIGI. Il processo più atteso si apre oggi 8 settembre nello storico Palazzo di giustizia sull’Île de la Cité. A pochi passi da Notre-Dame, è il posto dove vennero giudicati Maria Antonietta, Danton, Baudelaire per I fiori del male, Émile Zola per il J’accuse il maresciallo Pétain per aver collaborato coi nazisti.

Oggi toccherà a Salah Abdeslam, 31 anni, belga di famiglia marocchina. Alla sbarra, dovrà spiegare che cosa fece nella notte tra il 13 e il 14 novembre del 2015, insieme ai commando-kamikaze che a Parigi ammazzarono 130 persone in una sala-concerti, il Bataclan, nei dehors di bar e ristoranti, e fuori dallo Stade de France, dove si stava per giocare un’amichevole tra Francia e Germania.

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Abdeslam è un enigma. È le dixième homme, il decimo uomo, l’unico terrorista sopravvissuto a quegli attacchi-suicidi targati Isis. Perché non si fece esplodere? Paura? O un inconfessabile attaccamento alla vita? Oppure era forse programmato che non si immolasse pur di continuare a servire da passeur, da autista degli jihadisti in giro per l’Europa, da Convoyeur de la mort, trasportatore di morte, come recita il titolo di un avvincente libro-inchiesta uscito per le edizioni francesi Équateurs? Lo firma Etty Mansour, pseudonimo di una scrittrice-giornalista che ha provato a entrare nella testa del “kamikaze interruptus”, immergendosi per quattro anni nel milieu da cui è sgorgato – Molenbeek, il quartiere islamizzato di Bruxelles – e interrogando amici, vicini, conoscenti. Più Nour, la fidanzata che non vorrebbe più sentir parlare di lui.

“Ho lasciato la parola ai testimoni” spiega l’autrice al Venerdì. “Non era mia intenzione ergermi a giudice e consegnare al lettore una verità. Resterà sempre una parte di mistero nella mente di uno che decide di troncare i ponti con i propri simili. Ma ciò non ci autorizza a non cercare di capire”.

Salah Abdeslam è stato arrestato in Belgio e condannato a vent’anni per terrorismo. Qualunque sarà il verdetto parigino della Corte d’Assise speciale, la sua vita è già fottuta, incenerita, andata in malora. Mansour ricostruisce la traiettoria di un “jihadista della porta accanto” in parallelo con l’affermarsi del radicalismo islamico mondializzato: “Abdeslam ha la stessa età di Al-Qaeda”.

Sognando Scarface

Un padre ex tranviere, una madre iperprotettiva, tre fratelli e una sorella, Salah non era poi partito così male. Ottenuto un diploma da perito elettrotecnico, viene assunto anche lui nei trasporti pubblici, come addetto alla manutenzione. Ma, tempo un anno, lo cacciano via per assenteismo. Il posto fisso gli va stretto. Tipetto sveglio, istrionico, seduttore, un po’ sbruffone, preferisce la vita di espedienti: spaccio, rapine, furtarelli. Parla male l’arabo e del Corano non sa quasi nulla. Vuole fa’ l’americano. Si sogna Scarface. Ma diverrà l’emblema desolante di una generazione perduta che l’Europa ha gettato via senza sapere che farsene, salvo poi accorgersi che esisteva quando le è scoppiata letteralmente in faccia.

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All’inizio, la religione non c’entra. L’unico movente di Salah è il denaro, i quattrini con cui le reti della lotta armata islamista accalappiano sbandati votandoli alla missione della grande revanche musulmana, al martirio. Prima dell’estremo sacrificio però piovono i benefit: gipponi, contanti da bruciarsi in feste, lupanari, casinò, bar gay dove Salah gioca al gigolò. Non si prostituisce: deruba i clienti dei documenti d’identità che verranno falsificati per la causa.

Durante le giornate uggiose, Abdeslam e i goodfellas del quartiere si stordiscono di birra e canne, nelle sale interne dei bar guardano al computer i video delle decapitazioni come se fossero serie tv. Il Califfato dell’Isis promette il gran salto: dal piccolo gangsterismo alla vita eterna. Il fratello di Abdeslam, Brahim – che si farà esplodere in un bar parigino – parte per andare a combattere in Siria. Lui non lo segue. Gli va più a genio il lavoro di retroguardia, l’organizzazione logistica sul continente: trovare esplosivi, affittare covi per i compagni. Finché, nel 2015, il gioco non si fa duro.

L’annus horribilis si apre con il massacro nella redazione parigina del settimanale satirico Charlie Hebdo. È il segnale che in Europa si sta preparando una campagna militare stragista. Quella culminata nell’ecatombe del Bataclan e dei bar della movida.

Mutismo e preghiere   

Come racconta il libro, Parigi è vista dai guappi dell’islamismo con un misto di attrazione e rigetto. È la capitale del sesso, dello sballo, del peccato, che affascina, ma va punita. La storia di quella notte assassina non è ancora del tutto chiara. Abdeslam fu lo chauffeur dei kamikaze. Secondo i piani, avrebbe dovuto immolarsi anche lui. Ma sosterrà che la sua cintura esplosiva fece cilecca. Salah se ne libera e di straforo riesce a rientrare in Belgio, a Molenbeek, la sua tana.

[[ge:rep-locali:repubblica:315983648]]Ormai è in carcere da cinque anni. Dietro le sbarre si è radicalizzato. Stavolta davvero. Parla pochissimo. Prega o compulsa il Corano. “L’islamismo è la nuova maschera che ha indossato per far dimenticare il codardo” dice Etty Mansour. “Le prigioni sono incubatrici di radicalismo. E forse lui sente che ora la sua missione è il proselitismo tra i detenuti. Certo, si è islamizzato après coup, a cose fatte. Ma, nel suo caso, parlare di ‘radicalizzazione rapida’ può essere fuorviante. Perché era già impregnato di jihad come cultura, immaginario, ideologia totalitaria, narrazione che deve compiersi in un obiettivo”.

[[ge:rep-locali:repubblica:140257029]]La riconquista talebana in Afghanistan ridarà slancio al terrorismo in Europa? – chiedo alla scrittrice. Risposta: “C’è qualcosa di indecente nella sua domanda. Non dovremmo preoccuparci prima del popolo afgano?”.

Dato il suo mutismo e le sue reticenze, non si riusciva a trovare un avvocato per Salah Abdeslam. Alla fine, a difenderlo sarà Maître Olivia Ronen, 31 anni, stessa età dell’imputato. Una donna per l’ex macho sciupafemmine. Perfida ironia della storia. Ma forse, anche, grandezza del Diritto.

Sul Venerdì del 3 settembre 2021



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