Niente inno e bandiera: ecco perché alle Olimpiadi la Russia si chiama ‘Roc’

Pubblicità
Pubblicità

Non “Russia”, ma “Roc”. Perché? Alle Olimpiadi Tokyo 2020 non è passato inosservato che i 330 atleti russi presenti in Giappone non partecipano sotto la bandiera della Russia, ufficialmente bandita dal Cio, ma sotto la sigla Roc, “Russian Olympic Committee”.

Gli effetti dello scandalo doping

Niente bandiere, niente simboli, niente inno e divieto di esporre i propri vessilli nazionali. Per chi si fosse perso qualcosa, il ‘Wall Street Journal’ ha fatto chiarezza sulla vicenda. Gli atleti russi a Tokyo 2020 continuano a pagare lo scandalo doping di Sochi 2014, nato due anni dopo la manifestazione quando la Wada, l’agenzia mondiale antidoping, accusò Mosca di aver sistematicamente dopato gli atleti registrando almeno 312 casi da Vancuver 2010 in poi (il celebre “doping di Stato”). Tutto risale al 2016 quando la Wada ha certificato centinaia di casi di doping tra gli atleti russi a Sochi 2014. A seguito dello scandalo, la Russia ha visto i propri atleti banditi prima dai Giochi di Rio 2016, poi alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang nel 2018, quando quelli non ritenuti coinvolti nello scandalo hanno gareggiato sotto bandiera neutrale. Nel 2019 arriva la punizione: la Russia per quattro anni non potrà competere ufficialmente a eventi sportivi internazionali. A dicembre, la Corte di arbitrato per lo sport ha ridotto il divieto a due anni, ma ai Giochi Invernali di Pechino 2022 la Russia sarà ancora Roc.

Polemiche sui colori delle divise

Lo schema di doping della Russia è stata descritto in dettaglio da Grigory Rodchenkov, l’ex capo del laboratorio antidoping russo di Mosca. Rodchenkov ha spiegato lo schema nel film documentario premio Oscar 2017 “Icarus”, e ora vive in una località segreta negli Stati Uniti. Tornando a Tokyo, oltre ad apparire come Roc, gli atleti russi che vinceranno le gare non sentiranno il loro inno nazionale sul podio (è successo a Vitalina Batsarashkina, la prima atleta russa a vincere una medaglia d’oro per il Comitato olimpico russo nel tiro a segno). Inizialmente, il Comitato olimpico russo aveva proposto “Katyusha”, una canzone folk sovietica generalmente identificata come inno di lotta contro la Germania nazista nella seconda guerra mondiale. Il Cio ha tuttavia rifiutato la soluzione, ed è stato trovato un compromesso: un frammento del Concerto per pianoforte n.1 del compositore Pyotr Ilyich Tchaikovsky. Il pezzo sarà utilizzato anche alle Olimpiadi invernali del 2022 a Pechino. Inoltre i funzionari russi e il Cio hanno dovuto definire altri dettagli. Agli atleti russi è anche vietato di indossare la bandiera tricolore del loro paese sulle loro uniformi. Ma il kit ufficiale ha comunque i colori della bandiera, cosa che non ha evitato polemiche che tutt’ora infiammano i commentatori internazionali.

Nuovi sospetti

Una storia che, nonostante le pesantissime sanzioni, non sembra destinata a finire. All’inizio di luglio, il Comitato Olimpico russo ha infatti sospeso due canottieri a seguito positività ai test anti doping. La Federazione internazionale di nuoto, nel frattempo, ha fermato due nuotatori russi di primo livello dai Giochi a causa di violazioni delle regole anti-doping, anche se la Corte di arbitrato per lo sport in Svizzera poi li ha autorizzati a competere alle Olimpiadi di Tokyo.

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *