Omicidio Desirée, tutti condannati: due all’ergastolo

Pubblicità
Pubblicità

Due ergastoli, una pena di 27 anni e una di 24 anni e sei mesi. Sono passati quasi tre anni dalla mattina del 19 ottobre 2018, quando la polizia trovò il corpo di Desirée Mariottini, 16 anni e originaria di Cisterna di Latina, in uno stabile abbandonato nel quartiere San Lorenzo di Roma, raduno e spesso anche giaciglio di pusher e tossici.

Subito si pensò a una morte per overdose, ma poco dopo apparve chiaro che la minorenne era stata drogata e violentata da un gruppo di quattro persone, tutte accusate di omicidio, violenza sessuale di gruppo e cessione di sostanze stupefacenti.

La terza Corte d’Assise, dopo quasi sette ore di camera di consiglio ha condannato i quattro responsabili. Il ghanese Yousif Salia, 33 anni, all’ergastolo, i senegalesi Mamadou Gara all’ergastolo, 28, e Brian Minthe, 44, a 24 anni e sei mesi e il nigeriano Chima Alinno, 48 a 27 anni.

I quattro erano tutti presenti alla lettura, la hanno attesa per tutto il giorno, dietro alle sbarre.

La sentenza è stata attesa con grande tensione dalla famiglia di Desirée. I suoi amici e parenti indossavano tutti una t-shirt con la sua foto e fuori dall’aula bunker di Rebibbia avevano appeso striscioni: “Giustizia per Desirée”. La madre, appena prima della lettura del dispositivo, aveva detto a Repubblica: ““Mi sembra ancora di vivere un incubo. Tutto quello che vorrei è svegliarmi e poter abbracciare Desirée. Il dolore della sua assenza mi accompagna ogni giorno”.
Le indagini della squadra mobile, coordinata dal procuratore aggiunto Maria Monteleone e dal sostituto Stefano Pizza, hanno dimostrato che i quattro uomini, tutti africani, hanno intenzionalmente somministrato droga alla ragazzina con il preciso intento di stordirla e abusare di lei. E hanno, secondo l’accusa, altrettanto scientemente deciso di lasciarla morire quando era ormai chiaro che la giovanissima avesse perso i sensi per quel cocktail di droga e psicofarmaci. Alcuni testimoni hanno raccontato che quando hanno suggerito di chiamare i soccorsi, alcuni degli imputati li hanno minacciati: “Meglio lei morta che noi in prigione”. Anche per questo, nel corso della loro requisitoria, i pubblici ministeri avevano auspicato l’ergastolo con isolamento diurno per tutti gli imputati.
Dalle carte è emerso che gli imputati avevano assicurato alla ragazza, che si trovava in crisi di astinenza, che quel mix di sostanze composto anche di tranquillanti e pasticche non fosse altro che metadone. Ma la miscela, “rivelatasi mortale” era composta da psicotropi che hanno determinato la perdita “della sua capacità  di reazione” consentendo agli indagati di poter mettere in atto lo stupro in uno stabile fatiscente nel cuore dello storico quartiere romano.  Nell’ordinanza con cui il gip dispose il carcere si affermava che il gruppo ha agito “con pervicacia, crudeltà  e disinvoltura” mostrando una “elevatissima pericolosità  e non avendo avuto alcuna remora” nel portare a termine lo stupro e l’azione omicidiaria. Gli esami disposti dalla Procura hanno confermato che sotto le unghie e sugli abiti di Desirée è stato trovato il dna del branco.
La tragedia di questa ragazzina sconvolse la città di Roma. E quell’edificio abbandonato nel centro di Roma, ricettacolo di pusher e tossici, divenne una macchia per la città. Tante sono state le manifestazioni per cercare di ripulire la zona. Addirittura una delle udienze fu celebrata lì. La sindaca Raggi aveva promesso la riqualificazione dell’immobile che, però ancora oggi è esattamente nello stesso stato in cui era quando, quella maledetta notte, Desirée venne drogata, violentata e uccisa.

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *