Opzione donna, scatta la tagliola della Manovra. In pensione solo se invalide, caregiver o licenziate: 3mila lavoratrici in un anno

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Proroga per Opzione donna, con la possibilità di maturare i requisiti fino alla fine del 2022, ma con i paletti previsti dalla Manovra del governo Meloni sarà una porta d’uscita dal lavoro strettissima. Limitata cioè a una manciata di lavoratrici.

Secondo l’ultima bozza, emersa nella tarda serata di domenica, la possibilità di anticipare l’uscita dal lavoro per le lavoratrici torna a caratterizzarsi per la stretta sull’età anagrafica, un percorso – già molto criticato – premiante per chi ha un maggior numero di figli legato però a una serie di altri paletti. Nel testo, in attesa di quello definitivo in arrivo alla Camera, si vede infatti una duplice stretta.

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I paletti di Opzione donna: ecco chi può accedere

La stessa relazione illustrativa spiega che – rispetto alle precedenti proroghe della misura – con la Manovra si opera “una selezione dei beneficiari che opera su due piani concomitanti”. Da una parte, il beneficio è riconosciuto solo in presenza di alcune fragilità da parte delle lavoratrici. Queste devono infatti:

  • essere caregiver, ossia “assistono, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge n. 104/1992, ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i settanta anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti”;
  • hanno una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile, superiore o uguale al 74 per cento;
  • sono lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d’impresa.

Oltre a questo, si modifica il requisito anagrafico da maturare per accedere a Opzione donna: insieme ai 35 anni di anzianità contributiva, al 31 dicembre 2022, servono ora 60 anni rispetto ai 59 della precedente versione. Prevista, come da attese – e anche critiche – la riduzione di un anno per ogni figlio, entro un massimo di due anni. Quindi, con un figlio (e in presenza delle altre caratteristiche) una lavoratrice potrà optare per l’uscita a 59 anni, con due o più a 58. Questa riduzione di due anni del requisito anagrafico di sessanta anni, si applica a prescindere dal numero dei figli per le lavoratrici licenziate o dipendenti di aziende in crisi.

Oltre al noto ricalcolo contributivo, che comporta una riduzione dell’assegno nell’ordine del 30% rispetto alle condizioni ordinarie, la Manovra conferma anche il regime delle decorrenze già applicato in precedenza, che significa che per le lavoratrici autonome la prima decorrenza utile per uscire dal lavoro sarà il 1° agosto 2023 e potranno uscire nel corso del primo anno solamente le lavoratrici che hanno maturato il requisito nei primi cinque mesi del 2022. Per le lavoratrici dipendenti il posticipo dalla data di maturazione dei requisiti è di almeno 12 mesi.

La riduzione della platea

L’effetto di questo mix di paletti farà scattare una vera e propria tagliola sull’uscita anticipata delle lavoratrici. In una tabella della relazione tecnica, si stimano gli impatti sulla maggior spesa pubblica per le uscite delle lavoratrici. In un arco dal 2023 al 2029, ovvero 7 anni, si sommano 21mila e 100 uscite: 3mila all’anno. Solo per il 2023, l’anno durante il quale usciranno le persone che hanno maturato i requisiti al 31 dicembre 2022, le lavoratrici coinvolte sono 2.900 per un onere di 20 milioni. Cifra, quest’ultima, che cresce fino a sfiorare i 100 milioni nel 2026, per poi ridiscendere a 12,4 milioni alla fine del periodo di previsione.

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