Palermo, Cosa nostra rialza la testa con droga e pizzo: 31 arresti. In cella il boss Antonio Lo Nigro, cugino di uno dei killer di Falcone

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“E’ tornato più deciso di prima”, sussurra un vecchio investigatore quando è ormai l’alba e sulla lista i 31 nomi degli arrestati di polizia e carabinieri sono tutti segnati. In cima all’elenco, c’è un padrino che riporta al passato più cupo di Palermo, è Antonio Lo Nigro, 43enne narcotrafficante in rapporti con l’Ndrangheta, esponente di una delle famiglia più blasonate di Cosa nostra, suo cugino Cosimo fu incaricato di procurare l’esplosivo per la strage Falcone, poi fece parte del commando che uccise don Pino Puglisi e organizzò le stragi del 1993, per queste accuse sta scontando l’ergastolo. Antonio Lo Nigro è uno dei boss rampanti, già diverse volte arrestato, che stava provando a riprendersi la parte orientale di Palermo. Da Brancaccio a Roccella a Ciaculli, Cosa nostra era tornata a imporre a tappeto il pizzo, questo racconta l’inchiesta della squadra mobile e del nucleo investigativo dell’Arma: pagava l’ambulante che vende sfincione, e pure il titolare di una ditta edile, tutti pronti a “mettersi a posto” addirittura prima della richiesta dei mafiosi. I ricatti sarebbero avvenuti persino sulle compravendite di immobili: i boss imponevano le loro sensalerie.

Palermo, non denunciano il pizzo: indagati 40 commercianti di Brancaccio. “Favoreggiamento ai boss”

L’ultima indagine del pool antimafia di Palermo, oggi coordinato dal procuratore aggiunto Paolo Guido, ha ricostruito una cinquantina di casi di estorsione. E nessun imprenditore, nessun commerciante ha denunciato: solo dopo il primo blitz a Bancaccio, scattato nel luglio dell’anno scorso, dieci operatori economici convocati dalle forze dell’ordine hanno ammesso di avere pagato il pizzo. E una quarantina sono finiti sotto inchiesta per favoreggiamento, un’accusa drammatica, anche questa riporta ai giorni più bui di Palermo. Il silenzio dei commercianti che protegge capimafia del calibro di Giuseppe Greco, lui è ritenuto il capo del mandamento di Ciaculli, già arrestato l’anno scorso, nella prima tranche di questa indagine. A Roccella, comandava invece Maurizio Di Fede: fra le carte del blitz del luglio 2021 c’è sua intercettazione che racconta molto dei nuovi vecchi mafiosi di Palermo, Di Fede urlava quando seppe che la figlia di una sua amica avrebbe dovuto partecipare con la sua classe a una manifestazione antimafia all’aula bunker, per il 23 maggio: “Noi non ci immischiamo con Falcone e Borsellino – disse risoluto alla madre della piccola – Non ti permettere… Io mai gliel’ho mandato mio figlio a queste cose… vergogna”.

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L’inchiesta

Cosa c’è dietro il silenzio dei commercianti di Brancaccio? Paura oppure complicità? Il prefetto Francesco Messina, il direttore centrale anticrimine della polizia, dice: “Siamo di fronte a un gruppo ancora potente, che ha messo in campo una massiva attività estorsiva. E i mafiosi hanno potuto contare sulla protezione delle vittime. Attraverso il racket delle estorsioni e poi anche il traffico di droga, Cosa nostra ha provato a riorganizzarsi nuovamente. A Brancaccio, abbiamo registrato un’attività di spaccio che portava a 80 mila euro di guadagni a settimana, 4 milioni all’anno. Affari sull’asse Calabria – Sicilia. Tutti dati che alla vigilia delle commemorazioni per il trentennale delle stragi Falcone e Borsellino ci dicono una cosa sola: non è possibile abbassare la guardia nel contrasto alle mafie”.  

I boss si riorganizzano, i boss provano a sfruttare tutte le occasioni. L’inchiesta coordinata dai sostituti procuratori Francesca Mazzocco e Bruno Brucoli ha svelato che un mafioso, dipendente di un ospedale cittadino, riuscì ad impossessarsi di venti cartoni di mascherine Fp3 contenenti 16 mila mascherine, per poi rivenderle. Altri mafiosi avrebbero sottratto acqua dalla conduttura “San Leonardo” di proprietà del “Consorzio di bonifica Palermo 2” incanalandola in proprie vasche, per poi ridistribuirla ai contadini di Ciaculli-Croceverde Giardini e Villabate.

Con l’ordinanza di arresto, il gip Lirio Conti ha disposto anche il sequestro di alcune attività economiche che hanno un valore di 350 mila euro: i sigilli sono scattati per una rivendita di prodotti ittici, due rivendite di caffè e tre agenzie di scommesse.  

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