Che rapporto avete con le parolacce, le “parole grosse” – come le chiamano i francesi? E lo avete cambiato, negli anni? La risposta alla prima domanda è personale, quella alla seconda è invece collettiva e non può che essere sì.
La definizione dello Zingarelli è: “parola sconcia, volgare, offensiva”. “Sconcia” lo è per il significato: non ci sono parole sconce per riferirsi agli angeli, al sapone da bucato, alla coltivazione degli agrumi. Per essere sconcia una parola deve riferirsi alle funzioni deiettive e a quelle sessuali del corpo: organi preposti, materie organiche relative, soggetti impegnati in tali funzioni. Tutti questi sono argomenti non acconci: non è ben visto neppure parlarne con parole scientifiche, per quanto miti e appropriate, se non in certe circostanze e a bassa voce.
Fuori da tali circostanze, per intenderci, anche termini in sé puliti come “defecare” o “copula” si possono considerare fuori luogo, quindi non acconci, quindi sconci. Sono parole sconce anche se non sono affatto volgari. Invece le parolacce vere e proprie sono sia sconce (per il loro argomento) sia volgari, perché per la loro storia e la loro evoluzione sono ritenute in sé disdicevoli, non convenienti, accettabili soltanto in un discorso non sociale, o perché confidenziale (per esempio tra amici o a letto con il partner sessuale) o perché conflittuale (lite).
Vediamo un’escalation. “Testicolo” non è un termine volgare, ma può essere sconveniente usarlo fuori da un contesto medico. “Palla” è un termine volgare, ma soltanto quando è usato come sinonimo di “testicolo”. Proprio per il fatto che ricorre in molte circostanze non volgari (quando si parla di biliardo o di alberi di Natale), “palla” è assai meno volgare di “coglione”, che invece ha l’esclusivo significato primario di “testicolo”. Significato primario, perché lo usiamo anche nel senso esteso di “idiota”, “inetto”, “colpevolmente ingenuo” (ma in Toscana è un insulto meno sanguinoso che altrove).
Questo ci porta dunque al terzo elemento di definizione della parolaccia, che deve essere sconcia e volgare ma può anche essere offensiva. Non solo perché offende la sensibilità di chi parolacce non ne dice; ma anche perché una parola sconcia e volgare spesso può essere usata come insulto. Tirando le somme: in società di testicoli non si parla; scherzando o litigando si può dire “balle” correndo meno rischi di volgarità che con “coglioni”; se si dà del coglione a qualcuno lo si offende.
Sarebbe bello disporre di una statistica che invece possiamo soltanto immaginare. Quante parolacce un italiano medio poteva avere letto (letto, non detto o ascoltato) negli anni Settanta? Negli anni Ottanta? Quante dopo la diffusione della messaggistica telematica e quindi dei social network? Oggi la parolaccia si è truccata ed è scesa per strada. Assomiglia un po’ più alla parola non sconcia, volgare e/o offensiva, ma ha perso parte della sua forza espressiva. È sempre brutta, ma noi ce ne accorgiamo meno.
Questa è Lapsus del 6 agosto 2023, la rubrica di Stefano Bartezzaghi sulle parole del momento
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