Pasta e broccoli in brodo di arzilla che affascina i matematici e richiama Fibonacci

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Cosa serve?

Due filetti di pesce da zuppa (tipica della ricetta è la razza chiodata, detta arzilla in dialetto romanesco, ma va bene anche la gallinella, più facile da reperire), un broccolo romanesco mondato e diviso in cimette, due filetti di acciughe, carote, sedano, cipolla, prezzemolo, pomodori ciliegino, peperoncino, olio extravergine di oliva, vino bianco, spaghetti da spezzare

Cosa fare?

Preparare un brodo con carote, sedano, cipolla e qualche pomodoro ciliegino. Lasciar bollire per un quarto d’ora poi unire i filetti di pesce e cuocere aggiungendo il sale. Infine filtrare il brodo e tenere il pesce da parte. In una casseruola soffriggere un trito di prezzemolo con un filo di olio, un pezzetto di peperoncino e due filetti di acciuga. Aggiungere poi le cime di broccolo e rosolare a fuoco vivace sfumando con mezzo bicchiere di vino bianco. Coprire tutto a filo con il brodo e far sobbollire finché il broccolo risulterà tenero ma non sfatto. Aggiungere poi gli spaghetti spezzati a mano e lasciar cuocere: aggiungere altro brodo se necessario ma il piatto finale dovrà risultare piuttosto denso. Si serve in due momenti: la pasta insaporita con i pezzetti di pesce dispersi nel brodo e la polpa del pesce a parte condita con olio e limone.

Curiosità

Piatto tipicamente romano è stato funzionale nei secoli per gli ingredienti poveri e alla portata di tutte le tasche (i pesci da zuppa sono quelli meno nobili). Ma il suo fascino viene dal broccolo le cui cime sono note ai matematici perché rappresentano un frattale: un oggetto la cui forma globale si ripete allo stesso modo in scale diverse. Ogni cimetta è infatti un piccolo broccolo. E, ancora, le spirali che compongono il broccolo sono in una successione ben precisa – che potrebbe ripetersi all’infinito – che in matematica è detta di Fibonacci (dal nome del matematico che per primo la scoprì nel XIII secolo).

Il fatto

Vent’anni fa, il 16 gennaio del 2002, Repubblica lancia una nuova iniziativa con la pubblicazione de “Il nome della rosa” di Umberto Eco, primo romanzo della collana “Biblioteca del Novecento”. La raccolta comprendeva i più grandi capolavori letterari del secolo scorso e si rivelò subito un’avventura editoriale di grandissimo successo che vendette in due anni (2002 e 2003) più di 33 milioni di copie: numeri che attirarono l’attenzione degli editori italiani e internazionali impressionati dal successo e dalla novità che, di fatto, ha inaugurato un vero e proprio legame tra giornali e libri.

L’introduzione alla prima uscita fu affidata a Michele Serra il quale parla del rapporto che abbiamo con i libri, degli scogli che spesso si presentano al lettore e confessa che la sua pecora nera è Musil. Spicca in pagina un retroscena politico firmato da Giuseppe D’Avanzo che sarebbe mancato nel 2011

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