Patto per la ripresa, Draghi accelera. Ma il salario minimo resta fuori

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ROMA – È un mese davvero complicato quello che si apre domani con l’incontro a Palazzo Chigi tra Mario Draghi e i leader sindacali. Un percorso a ostacoli fatto di scadenze ineludibili, dal varo della Nadef alla legge di bilancio; di riforme che ritardano, fisco e concorrenza su tutte; di cabine di regia da riunire sull’attuazione del Pnrr. L’inizio di un autunno che si preannuncia caldissimo. Anche sul fronte sociale: «Se il governo non ci darà risposte su fisco e pensioni siamo pronti alla mobilitazione», ha minacciato ieri il capo della Cgil Maurizio Landini.

Convocato formalmente per discutere di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, il vertice con i segretari confederali potrebbe dunque offrire al presidente del Consiglio l’occasione per incardinare il famoso Patto per la ripresa lanciato giovedì all’assemblea di Confindustria. La sede per verificare, dopo il sì unanime delle imprese, la disponibilità di Cgil, Cisl e Uil a costruire insieme una prospettiva condivisa di sviluppo «a beneficio anche dei più deboli e delle prossime generazioni», aveva specificato Draghi nel suo discorso, con l’obiettivo di rendere strutturale il 6% di crescita previsto per quest’anno.

Non si parlerà tuttavia di salario minimo legale — strumento che fra l’altro piace poco sia agli industriali sia ai sindacati, e al momento non compare nell’agenda di governo — sebbene sia fra i temi più discussi dalle forze politiche. Con Pd, 5S e Leu pronte a prospettarlo al premier come uno dei pilastri del costituendo Patto per la ripresa.

Potrebbe però essere solo una questione di tempo, legata all’esito del dibattito europeo sulla direttiva comunitaria che si propone di stabilire regole uniformi per tutti i Paesi Ue. Il ministro Andrea Orlando ha già schierato l’Italia sul sì, accanto a Francia e Spagna, contro il fronte del Nord deciso invece a stopparla.

La traduzione nella legislazione nazionale avverrebbe poi con paletti stringenti, «integrando la contrattazione con lo strumento della rappresentanza», precisa il titolare del Lavoro. Possibilista sull’ipotesi che i sindacati avevano concordato col precedente governo: «Far coincidere il minimo salariale con il minimo contrattuale», ricorda il leader Uil Pier Paolo Bombardieri.

Una misura necessaria anche per il presidente dell’Inps: «Giovani e donne sono le categorie più colpite dalla pandemia e il salario minimo può aiutare soprattutto loro», è l’opinione di Pasquale Tridico. Non solo «genera crescita e aumenti di produttività», ma «ovunque è stato introdotto ha permesso miglioramenti».

Nell’attesa ci sono tuttavia scadenze (e problemi) più urgenti da affrontare. A cominciare dai ritardi accumulati su fisco e concorrenza, che bisognava licenziare entro settembre e invece con ogni probabilità slitteranno alla seconda metà di ottobre, subito dopo i ballottaggi. Restando ancora da sciogliere i «nodi spinosi» segnalati una settimana fa dal sottosegretario alla Presidenza Roberto Garofoli. Sono i numeri a raccontare la fatica del governo a scalare la montagna degli impegni assunti con l’Europa per centrare gli obiettivi del Recovery: delle 27 riforme previste entro fine anno ne sono state finora approvate 8; solo 5 gli investimenti realizzati su 24.

L’unica certezza è che dopodomani il governo varerà la Nadef, la nota di aggiornamento al Def che, nel delineare il quadro di finanza pubblica, dovrebbe indicare per il 2021 una crescita del Pil attorno al 6% (due punti in più del tendenziale del Def) e per il 2022 superiore al 4. Di conseguenza il rapporto deficit/Pil dovrebbe fermarsi intorno al 10% e il debito/Pil mantenersi stabile nei pressi del 156%. Entro il 15 ottobre va poi inviato a Bruxelles il Documento programmatico di bilancio, quest’anno più semplice da compilare, trattandosi di una sorta di “Bignami” del Pnrr.

Ben più decisivo è invece il termine del 20 ottobre entro il quale va licenziato il disegno di legge di Bilancio, ovvero l’articolato della manovra. Dove potrebbe finire un “assaggio” delle riforme che non si è ancora riusciti a varare. Il documento dovrebbe infatti contenere la revisione degli ammortizzatori, l’uscita graduale da Quota 100, il prolungamento del superbonus, una prima rivisitazione del reddito di cittadinanza ed eventualmente — visto l’allungarsi dei tempi della delega fiscale — un anticipo di taglio del cuneo da far scattare già nel 2022.

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