Pd, dimissioni di Zingaretti. Lui ribadisce: “Nessun ripensamento”. Ecco che cosa succede adesso

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Ha spiazzato tutti: i suoi alleati e ‘compagnì più fidati, dal suo vice Andrea Orlando al ministro Dario Franceschini e l’amico Gianni Cuperlo, la minoranza interna (Guerini e Delrio) e quelli esterni, come Matteo Salvini preoccupato per la stabilità del nuovo esecutivo. Compreso il premier Mario Draghi, informato dalle agenzie di stampa. Il ‘fulmine a ciel sereno’, anche se qualche segnale di insofferenza lo aveva manifestato già durante la formazione del nuovo governo. Le dimissioni di Nicola Zingaretti da segretario del Pd sconvolgono tutti e aprono scenari nel Pd che al momento non erano considerati. E ora cosa succede? Nonostante le richieste di ripensamento, lui sembra intenzionato a guardare avanti senza tornare sui suoi passi. “Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid”. Le motivazioni che lo hanno spinto a lasciare il ruolo che ricopre da quattro anni precisi, dal 17 marzo 2019, ricordano quelle di Sergio Mattarella quando ha conferito l’incarico a Draghi di formare un nuovo esecutivo. E quelle portate avanti dalle varie fazioni politiche contro Matteo Renzi in piena crisi di governo (“c’è un crisi sanitaria ed economica in atto e si pensa a far cadere Conte”). Questo è ‘l’atto d’amore ‘ di Zinga per il suo partito.

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E adesso? “Qualsiasi scelta farà l’assemblea la rispetterò – dice oggi a margine di un evento a Roma – No, non è un tema di ripensamento che non c’è e non ci sarà. Piuttosto penso debba essere il gruppo dirigente a fare un passo in avanti nella consapevolezza di avere un confronto più schietto, franco e plurale ma anche solidale sul ruolo del Pd, i valori di riferimento, la nostra idea dell’Italia e dell’Europa. Io non ce l’ho fatta ad ottenerlo. Spero che ora sia possibile“. Un’altra settimana per capire. Per capire se deciderà di ritirare le dimissioni, ipotesi al momento improbabile; se ci sarà un reggente, che potrebbe essere Roberta Pinotti o se partirà la sfida tra Stefano Bonaccini e Andrea Orlando. O, se alla fine il governatore del Lazio lascerà la Regione (dovrebbe restare fino al 2023) e sceglierà la sua città, candidandosi a sindaco di Roma.

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Cosa prevede lo Statuto del Pd

Lo Statuto, in caso di dimissioni, prevede che l’assemblea (in programma il prossimo weekend, il 13 e 14 marzo) può eleggere un nuovo segretario oppure sciogliersi. Se Zingaretti non tornerà indietro, il successore dovrà essere votato dai due terzi dei componenti.

Ipotesi Pinotti reggente

I segretari dem sembrano essere colpiti da una maledizione: in 14 anni si sono succeduti otto segretari. La sindrome di Tafazzi, come il primo segretario caduto sotto il fuoco amico Walter Veltroni chiamava il logoramento della guerra di correnti, colpisce ora un altro leader del Pd. E come nel 2009 quando l’ex sindaco di Roma si dimise nel corso di una direzione drammatica, anche oggi Nicola Zingaretti – dopo solo due durissimi anni al Nazareno – annuncia l’addio spiazzando tutti. Ora l‘ipotesi più probabile è che tocchi a un reggente. Che potrebbe essere Roberta Pinotti, ex ministra della Difesa nel governo Renzi, oggi area Franceschini. Ci sono già passati Guglielmo Epifani dopo le dimissioni di Pier Luigi Bersani nel 2013 e Matteo Orfini, prima (qualche mese nel 2017), e Maurizio Martina dopo, in seguito all’addio di Matteo Renzi. La maledizione, appunto. Chi fa il segretario Pd, alla fine, sembra destinato a fare i conti con i soliti veleni interni.

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Sfida Bonaccini-Orlando

La prossima assemblea dem potrebbe aprire anche un altro scenario. Le dimissioni di Zingaretti aprono la strada alla scalata alla segreteria di Stefano Bonaccini, 54 anni, presidente della Regione Emilia Romagna, sostenuto dai sindaci e amministratori, è indicato come un possibile aspirante a ricoprire il ruolo lasciato dal governatore del Lazio. Il suo rivale potrebbe essere, quasi certamente, Andrea Orlando: l’attuale ministro del Lavoro nel nuovo governo Draghi, leader della corrente Area Dem e vicesegretario del Pd che potrebbe decidere di ricevere il testimone da Zingaretti e lanciare così un segno di continuità con il passato.

 

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