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Pensioni, l’irritazione di Draghi che si alza e lascia la stanza: “Non si torna indietro”

Roma – Mancano pochi minuti alle 20 quando il presidente del Consiglio, Mario Draghi, si alza dalla sedia e lascia la Sala Verde al terzo piano di Palazzo Chigi, quella dei grandi patti sociali. Dice ai leader di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri, che ha un altro impegno ma anche – se non soprattutto – che le richieste che hanno avanzato sono troppe. Se ne va nervoso, praticamente senza salutare. Non ha voglia di negoziare con i sindacati che pezzo dopo pezzo gli hanno smontato la manovra, la sua prima legge di Bilancio per rilanciare la crescita. È di fatto una rottura. Oggi ci sarà un nuovo incontro, sul G20 però. È la prima frattura tra il governo Draghi e le forze sociali. Ma era nell’aria, fin dall’inizio dell’incontro. Ormai è certa la mobilitazione dei sindacati, che vuol dire anche lo sciopero. Le tre confederazioni decideranno sabato prossimo. Sulle pensioni non si sono divise.

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La strategia di Cgil, Cisl e Uil, tuttavia, non ha funzionato. O almeno per ora appare così. Hanno provato ad alzare il prezzo, ma Draghi non ha ceduto su nulla. Muro contro muro. Landini, Sbarra e Bombadieri hanno chiesto di riformare il sistema pensionistico, di rivederlo strutturalmente, di non tornare quindi alla legge Fornero, e di abbandonare anche la logica delle Quote per andare in pensione prima dei 67 anni. Draghi rimane sorpreso per i toni, la quantità di richieste, lo scarso spirito dialogante, l’atteggiamento rivendicativo. Lo dice esplicitamente ai leader sindacali, dopo averli ascoltati seduto a braccia conserte.

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Spiega che ci sono tante risorse per le politiche sociali oltreché per la riforma del fisco. Alza la voce per respingere l’idea di una nuova riforma pensionistica. C’è già, è la sua tesi. È la riforma Fornero, quella imposta dalla Banca centrale europea con la famosa lettera dell’agosto del 2011 firmata da Jean-Claude Trichet e dallo stesso Draghi che da lì a poco assumerà la presidenza dell’Eurotower di Francoforte. Insiste: non di torna indietro quando le pensioni costituivano la maggiore fonte di squilibrio per i conti pubblici. Ora il sistema previdenziale è in equilibrio. Lo aveva detto a Bruxelles la settimana scorsa: si deve tornare gradualmente alla «normalità», cioè alle regole delle legge Fornero. Ma c’è di più: c’è l’impegno che lo stesso premier prende in mattinata davanti ai giovani incontrati durante la sua visita a Bari. «Con tutti voi – dice – voglio prendere un impegno. Dopo anni in cui l’Italia si è spesso dimenticata delle sue ragazze e dei suoi ragazzi, sappiate che le vostre aspirazioni, le vostre attese, oggi sono al centro dell’azione del governo». Accettare di mandare in pensione chi ha già un lavoro ed è ancora in condizioni di proseguire la propria attività non sarebbe stato coerente con questo impegno.

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Con l’insofferenza di Draghi nei confronti dei sindacati tramonta così definitivamente anche l’ipotesi di un nuovo patto sociale che lo stesso premier aveva evocato, seppur senza molta convinzione. Draghi appare preoccupato. Per le quotidiane tensioni tra i partiti della larga maggioranza che sostiene il suo governo, per i ritardi che ora si rischiano di accumulare nel “mettere a terra” i progetti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) soprattutto per la debolezza progettuale dei Comuni. Un sistema Italia che torna ad incepparsi. Questa volta Cgil, Cisl e Uil appaiono isolate. Non hanno “conquistato” un tavolo di confronto con il governo e si ritrovano senza sponde politiche in Parlamento, dove si approvano ma si possono anche cambiare le leggi proposte dal governo. I sindacati sono rimasti da soli. Sì, il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, garantisce le risorse per i contratti pubblici; quello del Lavoro, Andrea Orlando li ha coinvolti nella riforma degli ammortizzatori sociali. Troppo poco. 

Il Pd non li ha seguiti. Enrico Letta ha puntato su alcuni aggiustamenti: proroga di Opzione donna, proroga ed allargamento della platea dei lavori gravosi che permette di lasciare il lavoro prima. Entrambi dovrebbero entrare nella legge di Bilancio, Letta li porta a casa. «Si accontentano di poco», era uno velenosi commenti che si raccoglievano ieri sera ai piani alti dei sindacati. Con il patto, tuttavia, tramonta anche l’alleanza con la sinistra politica, quella che si era vista in piazza San Giovanni contro la devastazione della sede nazionale della Cgil da parte di un gruppo neofascista. E sulle pensioni, infine, la Lega, con le nuove Quote, potrà cantare una mezza vittoria per quanto effimera. Anche questo è il primato della politica.



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