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Polpo e tarallo nojano, la Puglia marinara e quella rurale s’incontrano a tavola

MOLA DI BARI. Cotto in umido o fritto, alla piastra con il caciocavallo o sulla griglia dopo averlo fatto marinare in olio, aceto, pepe e rosmarino. I modi per portarlo in tavola o servirlo come street food sono davvero tanti e, spesso, non ci si allontana poi molto dalle ricette della tradizione marinaresca.

Di certo il polpo è l’indiscusso protagonista della gastronomia di Mola di Bari, luogo in cui si distinguono ancora i pescatori dai pescivendoli. Mestieri che sottolineano lo stretto legame della città con quanto ha di più prezioso: il mare e i suoi prodotti ittici.

Passeggiando per i vicoli, i colori abbaglianti sono quelli delle città del sud. Tutt’intorno, un vociare di localini con la loro cucina tipica pugliese. Come trattoria La Bussola con la sua specialità: la frittura di paranza. Tocchetti di polpo, calamari tagliati ad anelli, alici, triglie, merluzzetti, gamberi, moscardini e la tipica zanchetta. Tutto cosparso da farina di granito (uno speciale grano tenero, ideale per rendere croccante questa preparazione) o la tradizionale semola. Olio bollente, pochi minuti e si gusta rigorosamente calda, nonostante le alte temperature estive. Nient’altro da aggiungere, nemmeno il sale. Concesso uno spicchio di limone nel piatto, da spremere a proprio piacimento, anche se per i puristi del fritto ha solo una funzione decorativa. Ecco servito un autentico assaggio della Puglia costiera.

La frittura di paranza  Percorrendo il Lungomare, si incrociano uomini intenti a sistemare le reti da pesca. Generazioni diverse con in comune un lavoro antico. Qualcuno è appena sbarcato e mostra orgoglioso il suo carico: triglie, scorfani, merluzzi e gamberi bianchi. Qui, da anni nell’ultimo fine settimana di luglio, si svolge la Sagra del polpo – tra le più importanti d’Italia – che conquista residenti e turisti attratti dalla freschezza della materia prima abbinata alla cucina tradizionale. In contemporanea, escursioni in barca a vela o catamarano, snorkeling e possibilità di scoprire la parte storica. Come il castello Angioino, nel cuore medievale della città, nato come fortezza per rendere inespugnabile la costa tra Bari e Monopoli. Suggestioni arrivano dal profondo blu anche in occasione della festa della Madonna d’altomare, occasione per la marineria molese di invocare protezione: centinaia di imbarcazioni addobbate di bandiere e vessilli seguono il peschereccio – estratto a sorte – che porta in processione la statua.

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Ma anche l’entroterra riserva non poche sorprese. Ad affascinare è il Poggio delle antiche ville: si tratta di decine di dimore d’epoca, inserite tra gli otto Ecomusei di Puglia e nascoste nella fitta vegetazione di una collina, che si estendono sino ai vicini comuni di Noicattaro e Rutigliano. Passeggiando tra le contrade, è possibile godere dei profumi di glicine e gelsomino che si confondono tra mandorli, fichi d’india e ulivi. E poi, d’improvviso, queste architetture edificate tra il 1700 e inizi ‘900 nate per il soggiorno estivo di nobili e borghesi. Alcune sono destinate all’accoglienza turistica, altre abitate da privati che – a questi luoghi – sono particolarmente legati. 

Il Poggio delle antiche ville  Itinerari poco conosciuti, ma particolarmente suggestivi per chi cerca un contatto con la Puglia rurale. Anche a tavola. L’agriturismo TerramareBio propone una cucina a km zero che coniuga tipicità e freschezza dei prodotti con la giusta creatività. «Protagonista è la materia prima» dice la padrona di casa Maria Aquaro. Qui le pietanze vengono preparate con quanto si coltiva direttamente nei terreni dell’azienda agricola o dai produttori lì vicino. Così, le ricette tradizionali hanno sempre qualcosa di nuovo: è il caso del filetto di maialino bardato con pancetta croccante su ananas caramellato o i veli di pane fritto di Altamura (rigorosamente cotto in forno a legna) con capocollo di Martina Franca, formaggio primosale, pomodori secchi e noci «sistemati a formare una torretta». Per finire, una crostata integrale con ricotta, ciliegie e mandorle. Proprio questo frutto è al centro di un nuovo slancio. Nella murgia barese sta tornando l’antica coltivazione, oggi di moda, destinataria di una gestione intensiva. Percorrendo il Poggio delle Antiche Ville, lo sguardo si perde tra mandorli alternati a olivi e distese di tendoni di uva da tavola, in particolare la varietà Regina a bacca bianca.  

I tendoni di uva da tavola  E così, oltre il polpo, tipicità sono anche la marmellata di uve e l’olio evo da scoprire nelle trattorie tipiche. Ma c’è dell’altro. «In qualsiasi ricorrenza, immancabile è il tarallo nojano» commenta, con l’orgoglio dell’appartenenza, Alberto Quaranta del laboratorio Taralli Santamaria di Noicattaro che mantiene viva la tradizione del prodotto artigianale. Da sempre, accompagna la giornata di lavoratori e studenti, ma anche i momenti di festa delle famiglie del posto. Niente macchinari: viene steso e lavorato a mano. «Gli ingredienti sono quelli che si trovavano in casa: olio extravergine d’oliva, farina locale di tipo 0, vino bianco e sale. Ci sono anche varianti con aggiunta di finocchio, pepe o pomodoro secco, che è un’altra nostra tipicità, e persino curcuma e cime di rape». Nel dialetto locale lo chiamano «biscuott» anche per via di consistenza e pastosità che lo rendono unico, complice la doppia cottura: prima immerso in acqua bollente e poi lentamente in forno. Per chi viene da queste parti, la raccomandazione: «Non può non assaggiare anche il calzone di cipolla». E cioè una pizza ripiena di «sponzali» soffritti, olive nere e acciughe.

Taralli nojani  Spostandosi di una manciata di chilometri, ecco Rutigliano: famosa per i suoi chicchi d’uva, ma anche di grano. La tradizione vuole che non sia usato per le farine, ma cotto. La decorticazione, in passato, avveniva con delle pile di pietre nelle cantine nella disponibilità delle varie famiglie. Ancora oggi, viene cucinato e condito con legumi o pomodoro. Oppure usato al posto del riso, insieme a patate e cozze. «Si presta ad essere assemblato in vari modi – spiega Pietro Poli dell’associazione PortaNuova – e lo si può trovare con i ceci neri, le rape o i frutti di mare». Particolarmente famosa è la colva di grano, dolce tipico pugliese arricchito con uva, cioccolato, melagrana, frutta secca e vincotto.

Dal seme alla pagnotta, la storia antica del grano di montagna

Lo scorso anno, il Grano Buono di Rutigliano è stato iscritto nell’albo regionale della biodiversità dopo un lungo lavoro di recupero di questa varietà cerealicola autoctona da parte dell’associazione. «Deve essere conservato e tutelato con piccole produzioni di qualità». Una tradizione che si tramanda in piccoli appezzamenti di terreno, da padre in figlio, grazie a contadini operosi che hanno custodito il seme nei barattoli, che qui chiamano «boccacci». Un lavoro di riscoperta identitaria che trova una delle sue massime espressioni nell’omonima festa del Grano buono, che si celebra da 25 anni nella prima domenica di luglio. Le massaie portano in piazza grandi tegami di terracotta per far assaggiare i loro piatti a turisti e visitatori. E il paese si anima in continuità con il suo passato. Perché qui, il grano, si coltivava già ottomila anni fa.


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