Poveri, sfiduciati o disoccupati: i lavoratori della cultura a un anno dal primo lockdown

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Guide turistiche a spasso, ma senza turisti. Musei chiusi, se non per brevi e feriali momenti nelle città tinte di giallo. Siti archeologici off limits. Biblioteche e archivi come un miraggio. Oltre a quei cinema e a quei teatri che avrebbero dovuto riaprire il 27 marzo per un miracolo che non si è mai compiuto, la cultura è ferma da un anno e più. Ma come stanno i lavoratori e le lavoratrici 12 mesi dopo il primo lockdown? Se lo sono chiesto, in un sondaggio che verrà diffuso integralmente il 6 aprile, gli attivisti di “Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali”, realtà di protesta e proposta nazionale nata nel 2015. 

Ebbene, il 44 % dei lavoratori ha ancora un lavoro, ma la maggior parte è in cassa integrazione o ha avuto perdite ingenti. Già lo scorso anno, in un primo questionario prodotto a un mese dallo scoppio della pandemia, la maggioranza degli intervistati denunciava tra 500 e 800 euro in meno, ci fare che sembrano basse ma che per molti in questo settore rappresentano buona parte della retribuzione.

“L’arrivo del 2021 è coinciso con la scadenza dell’appalto che la cooperativa di cui sono dipendente aveva con l’ente pubblico. Non c’è stata proroga ma affidamento diretto all’altra cooperativa che lavorava già lì – racconta Antonio, in una delle testimonianze raccolte nel sondaggio – Forse verrò riassorbito ma intanto sono a zero ore con cassa integrazione dopo dieci anni di lavoro nello stesso museo”.

Oggi il 16 % dei lavoratori della cultura un impiego racconta di non averlo più e si somma a quel 9% che era disoccupato anche prima del lockdown. La metà di chi il lavoro lo ha perso non ha percepito nemmeno sussidi, largamente insufficienti anche per coloro che li hanno ricevuti. E la maggior parte sono donne, perché donne sono la maggioranza delle lavoratrici di questo settore.

“Prima del Covid-19 avevo tre contratti di collaborazione occasionale e dovevo iniziare un lavoro con un contratto a tempo determinato – spiega Barbara – Quando hanno chiuso tutto ovviamente dalle collaborazioni non ho percepito nulla e il contratto è stato ritirato”.

Gli altri lavorano in proprio ma se gli si chiede se potrà continuare a lungo la propria attività, più di un quarto risponde semplicemente “no”; più della metà dichiara di conoscere altre attività in condizioni peggiore della propria, a un passo dalla chiusura.

E ancora: c’è chi studia o ha appena terminato il percorso formativo. Ma la gestione pandemica ha impattato anche su di loro. Alla domanda “Quanto ha influito la pandemia sulla tua ricerca o sulla scelta di non cercare lavoro?”, in una scala da 0 a 10, tra i disoccupati (in cerca di lavoro, non che ricevono sussidi di disoccupazione) quasi il 70% ha risposto tra l’8 e il 10. Percentuale quasi identica (70%) per gli studenti e per chi sarebbe dovuto entrare nel mondo del lavoro quest’anno. 

“Nei primi mesi della pandemia stavo ancora svolgendo l’anno di Servizio Civile Volontario e, nel frattempo, mi ero iscritta a dei concorsi pubblici per lavorare nel settore culturale – racconta Cristina – Ad oggi ho finito il Servizio Civile e sono ancora iscritta a quegli stessi concorsi più altri usciti successivamente, completamente fermi, neanche le preselezioni son state ancora fatte a causa della pandemia. E ora scarseggiano pure i lavori saltuari: dalla cameriera alla baby sitter. Mi sono rimessa a studiare di più, ma senza pratica resta solo una grande teoria individuale”. 

Andrà meglio? Una minima parte chiede oggi “soltanto” più aiuti; maggioritarie le richieste di maggiori investimenti e tutele. Prospettive per il futuro? “Sì, siamo sulla strada giusta” risponde lo 0,9 % dei lavoratori e delle lavoratrici della cultura e del turismo culturale.

Ingenerosi, scoraggiati, arresi, parziali, arrabbiati? Cristina racconta la sua storia così: “Sono archeologa e guida turistica. Come guida ad oggi ho fatturato circa 600 euro in 13 mesi, come archeologo la cooperativa di cui sono socia ha continuato a lavorare, ma a ritmi ridotti e ci siamo divisi il lavoro, come sempre, per cui mi sono entrati meno di 2 mila euro. In totale dallo Stato ho ricevuto 3200 euro come partita Iva e 400 euro dalla Regione Toscana come guida turistica. Nessun aiuto dal MibacT perché il mio codice Ateco da guida non era prevalente a febbraio 2020. Risultato: dall’inizio del primo lockdown abbiamo campato con 5800 euro, io e mio figlio di 7 anni. Meno male che entrano i 350 euro al mese che mi spettano per il mantenimento del nostro bambino da mio marito da cui sono separata”. 

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