Processo a Salvini. I testimoni dell’accusa: “Il Viminale voleva inviare l’Open Arms a Taranto o Trapani”

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Il 15 agosto del 2019, quando la nave Open Arms, con a bordo oltre 140 migranti, era già davanti all’isola di Lampedusa ci fu “una interlocuzione tra il Viminale e la Capitaneria di porto” nel corso della quale “il prefetto Matteo Piantedosi ipotizzò l’individuazione di un Pos, un porto sicuro, a Taranto o a Trapani. Ma le soluzioni erano impraticabili perché le condizioni del mare non lo consentivano”. Nell’aula bunker di Palermo, dove si processa l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini per il sequestro di 147 migranti, la procura chiama il primo teste dell’accusa: è l’ammiraglio Sergio Liardo, capo del terzo reparto del Comando generale delle capitanerie di Porto, tocca a lui ricostruire gli eventi avvenuti nell’agosto del 2019 al largo di Lampedusa. E, intanto, Salvini ascolta in aula, seduto accanto al suo legale, Giulia Bongiorno. Prima di arrivare al bunker di Pagliarelli ha lanciato un post su Twitter: “Sono sereno di avere fatto il mio dovere e quello che gli italiani mi hanno chiesto con il loro voto”. In aula c’è anche Oscar Camps, fondatore dell’Ong spagnola che si è costituita parte civile: “Mi aspetto giustizia da questo processo”, dice ai cronisti.

“In quei giorni, io non c’ero, ero sostituto dall’ammiraglio Martello – racconta Liardo – ma condivisi quella scelta perché le condizioni del mare erano impraticabili”. Rispondendo alle domande del pubblico ministero Geri Ferrara, il testimone racconta quanto accaduto dai primi di agosto del 2019. La nave Open Arms dopo il soccorso “non accettò il pos dato da Malta. Riteneva a quel punto che sbarcare i migranti – è una comunicazione via mail – avrebbe potuto creare dei problemi. Nel frattempo, erano state fatte diverse evacuazioni mediche sotto il coordinamento di Malta. In quel momento Open Arms aveva 107 persone a bordo”. Dopo il no del Viminale, la Ong si rivolse al Tar del Lazio. “Il 14 agosto del 2019, nella notte, arrivò la comunicazione della Open Arms che rilanciava il decreto del Tar Lazio che annullava il decreto di interdizione dell’ingresso e disponeva di dare assistenza ai migranti. In quel momento – spiega Liardo – c’era mare 4 con 25 nodi di vento che suggeriva, anzi imponeva, la necessitò di riparare a Lampedusa”.

“Arrivò, dunque, una richiesta e noi come centro di coordinamento accordammo la possibilità di trovare riparo verso Lampedusa senza disporre ingresso in porto – prosegue l’ammiraglio – Ci fu un tentativo di affiancare, fu evitato, e dopo si andò a bordo con medici Usmaf per controllare la situazione. Alla domanda del pubblico ministero Geri Ferrara se era stata segnalata la presenza di minori a bordo, Liardo risponde: “Abbiamo richiesto un profilo sanitario, e dissero che c’erano anche minori. Da quello che risulta il 18 vennero sbarcati 27 minori non accompagnati”.

A ridosso di Lampedusa, Open Arms tornò a chiedere al Viminale a un porto sicuro. “In questa fase alcuni migranti si lanciarono in acqua e furono salvati dalle nostre motovedette”, ricorda il testimone. La situazione a bordo si era fatta davvero drammatica. Anche se poi Liardo precisa, rispondendo alle domande dell’avvocata Bongiorno: “I migranti a bordo della nave Open Arms erano sempre stati assistiti da un punto di vista di salute e quando c’erano esigenze particolari venivano sbarcati”.

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