Processo alla caffeina. È davvero la droga psicoattiva più consumata al mondo?

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La voglia di caffè appena svegli, il desiderio di un espresso quando si esaurisce l’effetto di quello precedente. Siamo legati alla caffeina da una “dipendenza invisibile”, e non ce ne rendiamo conto. È la provocazione di Michael Pollan, giornalista americano esperto di alimentazione, che in un articolo pubblicato a luglio sul The Guardian parla della caffeina come di una sostanza fidata, ma allo stesso tempo subdola, che scandisce la nostra quotidianità rendendoci inconsciamente assuefatti.

La droga psicoattiva più consumata al mondo, l’unica che assumono abitualmente anche bambini e ragazzi (è contenuta in bevande gasate ed energy drink) e che avrebbe contribuito a creare un nuovo tipo di lavoratore a partire dagli anni Quaranta del secolo scorso, quando gli imprenditori americani introdussero la pausa caffè per ottimizzare la produttività dei loro operai. È davvero così? Siamo attivi ed energici grazie alle tazze fumanti di cui non possiamo più fare a meno?

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Per sostenere la sua ipotesi, Pollan smette di assumere caffeina per tre mesi, in una sorta di disintossicazione. Mal di testa, affaticamento, difficoltà di concentrazione e irritabilità sono le conseguenze della privazione, effettivamente i sintomi dell’astinenza, riconosciuti ed elencati nel manuale Dsm-5, caposaldo per tutte le diagnosi di disturbi mentali. “La caffeina interagisce principalmente con il sistema nervoso”, spiega Grazia Sances, neurologa e responsabile del Centro regionale per la Diagnosi e Cura delle Cefalee dell’Irccs Fondazione Mondino di Pavia: “Spegne i segnali di stanchezza, consentendoci di rimanere svegli più a lungo, e lo fa mettendo il bastone tra le ruote all’adenosina, una molecola con effetto sedativo sulla nostra attività neuronale. Quando l’adenosina vorrebbe entrare in azione perché siamo stanchi, la caffeina prende il suo posto nei recettori del cervello stimolandoci a rimanere attivi».

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Dà una marcia in più e quando non c’è, si sente. “Il cervello ne apprende il meccanismo d’azione e la riconosce come una sostanza di allerta. Perciò può desiderarne l’assunzione per mantenere la vigilanza più a lungo” continua la neurologa: “Questo processo, a volte, porta inconsapevolmente ad aumentare le dosi giornaliere di caffè per combattere la stanchezza e avere maggiore concentrazione sul lavoro”.

Ma si può davvero parlare di dipendenza? “Per ora il manuale Dsm sospende il giudizio. Sono necessari altri studi», sottolinea Emanuele Bignamini, membro del Comitato scientifico dell’Istituto europeo delle dipendenze di Milano: “La distinzione tra dipendenza patologica ed effetti farmacologici che danno assuefazione è molto importante. La caffeina può generare sia tolleranza che astinenza, perché per continuare ad avere gli stessi effetti stimolanti c’è la necessità di aumentarne le quantità e perché quando la sospendiamo ne sentiamo la mancanza”.

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Però, spiega anche uno studio pubblicato nel 2020 su Addiction biology, tolleranza e astinenza possono verificarsi con qualsiasi agente farmacologicamente attivo e la loro presenza non è sufficiente a dimostrare un disturbo da dipendenza. Le sostanze che creano dipendenza giocano in un campionato diverso. “Agiscono in un’area specifica del cervello, la parte esterna del nucleo accumbens, nel cuore della modulazione affettiva della persona. Le droghe che l’attivano, stimolando il rilascio di dopamina, producono sensazioni profonde che trasformano l’esperienza esistenziale di una persona e la inducono compulsivamente a rinnovare questa condizione” continua Bignamini: “La caffeina, invece, agisce prevalentemente sulla corteccia prefrontale, che, pur essendo coinvolta nel circuito della gratificazione, produce sensazioni di euforia, ma non come esperienza di cambiamento profondo e duraturo”.

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Nel 2015 l’Efsa, che si occupa di sicurezza alimentare in Europa, ha condotto una valutazione del rischio concludendo che fino a 400 milligrammi di caffeina al giorno sono sicuri. Per intenderci, una tazzina di moka o di espresso ne contiene dai 60 agli 80 mg, mentre un americano può andare anche oltre i 100. La tolleranza da caffeina, però, non è dose correlata, ma soggettiva. “Una persona può svilupparla anche consumandone quantità normali”, fa sapere Leonardo Mendolicchio, psichiatra psicoanalista responsabile della riabilitazione dell’Ospedale Auxologico Piancavallo: “E lo capiamo se interrompendo bruscamente l’assunzione di caffè percepiamo nel giro di un giorno sintomi come mal di testa, affaticamento, difetti della concentrazione e disturbi del sonno”.

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Il neuroscienziato inglese Matthew Walker accusa la caffeina di un’ulteriore colpa: ci sta rubando il sonno, perché il 25% di quella contenuta in un espresso consumato a pranzo, secondo l’esperto, è ancora in circolo nel cervello quando si va a letto a mezzanotte. Così si riposa male, si inizia la giornata spossati e si beve un caffè per compensare il cattivo sonno, entrando in un circolo vizioso insidioso.

“La caffeina entra nel nostro sistema circolatorio in breve tempo, circa 40 minuti, e raggiunge il resto del corpo in 4-6 ore, ma la durata del suo effetto varia da persona a persona”, spiega Grazia Sances. Ci sono, infatti, persone cosiddette metabolizzatori lenti e quelle, invece, veloci.

“Una variazione che sembra essere correlata anche a fattori genetici e allo stile di vita. Ad esempio, il fumo accelererebbe i processi metabolici della caffeina, mentre l’uso della pillola li ridurrebbe”, aggiunge la neurologa. La dipendenza subdola e gli effetti sul sonno sarebbero, quindi, a conti fatti, il prezzo da pagare per poter godere dei benefici del caffè.

“I problemi di sonno della popolazione non possono essere addossati unicamente alla caffeina. E in generale dovremmo chiederci dove collocarla nella catena di cause ed effetti”, osserva l’esperto di dipendenze: “Perché bisogna considerare anche le condizioni di stress ambientale e sociale delle persone. In particolare, i ritmi produttivi, l’elevato livello di incertezza delle condizioni di vita attuali, la diffusa difficoltà delle relazioni interpersonali. La caffeina potrebbe essere vista da molti come un rimedio, certo parziale e con conseguenze negative quando abusata, per sostenere uno stile di vita che non si riesce a modificare, ma a cui non si riesce nemmeno ad adattarsi pienamente”.

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