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Recovery plan, nell’ultima versione cancellato il salario minimo legale

“Cucù, il salario minimo legale non c’è più…”. Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, spulcia le pagine del Recovery plan presentato da Mario Draghi ieri alla Camera e oggi al Senato e contesta che nella versione finale è stata eliminata la parte dove si prevedeva di introdurre in Italia un tetto minimo per le retribuzioni dei lavoratori. Un provvedimento che sta molto a cuore al Movimento cinque stelle, che dopo la sconfitta sul superbonus edilizio, perde un’altra battaglia. Sconfitta che certamente non giova all’armonia all’interno della maggioranza. Dove anche Enrico Letta è però favorevole al provvedimento.

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“Nella versione del Recovery di sabato scorso, nella parte delle riforme di accompagnamento al piano, c’era scritto chiaro che si prevedeva l’introduzione del salario minimo legale. Nella versione dataci in Parlamento, nell’ultima modifica, come per magia sparisce”, dice Fratoianni. Il suo partito ha rotto con Articolo 21 sulla fiducia al governo di Mario Draghi, decretando la fine di Liberi e Uguali, e adesso sta all’opposizione insieme a Fratelli d’Italia e ad Alternativa c’è, composta da ex grillini. Ieri hanno chiesto di rinviare la discussione sul Recovery plan perché arrivato in Parlamento poche ore prima della discussione.

Oggi Fratoianni punta l’indice contro la cancellazione del salario minimo legale. Argomento di cui si discute molto all’estero.  “È chiaro perché dico che questo Recovery è un segreto di Stato? – chiede il segretario di Sinistra italiana –  È chiaro perché è uno schiaffo al futuro? Perché soprattutto i più giovani, che campano di lavoro povero e sottopagato, non vedranno nessun cambiamento. Ma insieme a McKinsey – conclude – c’è stata pure Confindustria a scriverlo?”.

Fratoianni ha buon gioco a fare notare che fino a sabato nella bozza del Recovery plan si poteva leggere di una misura “per i lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva nazionale, a garanzia di una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto e idonea ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa” nell’ottica di un rafforzamento del sistema delle tutele del lavoro. Una partita chi sta giocando in maniera intrecciata nelle aule parlamentari italiane e in quelle del Parlamento europeo, dove il 22 aprile è stata depositata una bozza di direttiva sul salario minimo legale elaborata dalla Commissione europea. Avversata dai paesi dell’Est e da Fratelli d’Italie e Lega.

La commissione Lavoro del Senato aveva dato il via libera a questo progetto europeo il 22 marzo. Un passo verso l’approvazione della legge sul salario minimo che è in discussione sempre a Palazzo Madama dal 2019. L’idea di fondo è di fissare un tetto minimo di 9 euro come salario minimo per i lavoratori. Un po’ come negli Stati Uniti, dove proprio oggi il presidente Joe Biden, dopo la bocciatura del Senato della sua proposta valida per tutti, alza il salario minimo dei contrattisti federali a 15 dollari.

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Nel nostro Paese una legge sul salario minimo non esiste. Nonostante fosse prevista come correttivo nel Jobs act di Matteo Renzi o nel decreto Dignità di Luigi Di Maio. Nel 2019, poco prima della caduta del governo Lega-M5S era stato trovato un accordo, saltato poi con la crisi di governo, fra leghisti e grillini.

Adesso si discute su un progetto del M5S e uno del Pd dove la differenza di fondo è su come calcolare il salario minimo. O sul reddito medio, comunque superiore alla soglia di povertà, o sul reddito mediano. Un aumento che potrebbe essere di stimolo ai consumi e alla ripresa economica. Niente di paragonabile al salario minimo stabilito con un referendum nel cantone svizzero di Ginevra dove è passata la proposta di 3400 euro come soglia minima.

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Comunque il risultato finale dovrebbe attestarsi fra i 5 e i 7 euro l’ora, cifra più vicina ai dati europei. Naturalmente in Italia è contraria Confindustria e chi pensa che introdurre rigidità sul salario potrebbe portare le aziende a licenziare. E una certa diffidenza circola anche nei sindacati che vedrebbero ridotti i margini di trattativa.

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