Reggio Calabria, detenuto spogliato e massacrato di botte: sei agenti ai domiciliari per torture

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Hanno massacrato di botte un detenuto, autonomamente hanno deciso di metterlo in isolamento e hanno aggiustato carte, relazioni e referti per nascondere il pestaggio. A Reggio Calabria, un gruppo di agenti della penitenziaria aveva trasformato il carcere in un inferno senza legge, dove si rischiava di essere massacrati a manganellate anche solo per una protesta.

Per questo motivo sei agenti della polizia penitenziaria, incluso il comandante del reparto, sono stati arrestati dalla squadra mobile e sono finiti ai domiciliari, due sono stati interdetti dal servizio, altri quattro sono indagati, insieme al medico del carcere accusato di depistaggio per aver mentito ai magistrati in fase di indagini e per il quale toccherà al giudice valutare la sospensione dall’attività professionale. A vario titolo, la lista di accuse contestate è lunghissima: torture, lesioni, una serie di falsi in atto pubblico, calunnia, tentata concussione.

Si tratta della seconda, pesantissima, tegola che cade sull’istituto penitenziario reggino, dopo l’arresto dell’ex direttrice, Maria Carmela Longo, a processo per aver di fatto delegato la gestione del carcere a boss e luogotenenti dei clan, cui tutto era permesso.

Ma evidentemente, anche alcuni agenti della penitenziaria erano convinti di poter gestire l’istituto come se fosse territorio loro, soggetto unicamente alle loro leggi e regole. Imposte con i manganelli.

A far partire l’inchiesta, le denunce dei familiari di alcuni detenuti campani che ai magistrati hanno raccontato di abusi e violenze. Solo un episodio al momento è stato interamente ricostruito, ma sufficientemente grave da convincere la procura diretta da Giovanni Bombardieri a chiedere e ottenere i domiciliari e altre urgenti misure cautelari. Risale alla fine del gennaio di quest’anno, per la precisione al 22, quando in visita c’era l’ex ministro della Giustizia, Marta Cartabia.

Un detenuto napoletano  – svela l’inchiesta coordinata dal pm Sara Pezzan – aveva messo in atto una protesta pacifica: si era rifiutato di tornare in cella dopo l’ora d’aria, il cosiddetto “passeggio esterno”. La risposta degli agenti della penitenziaria è stata brutale.

In malo modo e con la forza lo hanno trascinato in una cella di isolamento, dove è stato massacrato con pugni e manganelli, quindi lo hanno spogliato e lasciato seminudo per ore. Al gelo.

E ovviamente si sono adoperati per coprire tutto. False relazioni di servizio, false accuse contro il detenuto, una montagna di carte aggiustate per coprire un vero e proprio pestaggio. Nei giorni successivi, il comandante del reparto in persona, Stefano La Cava, avrebbe persino tentato di costringere un altro agente a mostrargli le relazioni di servizio relative alla sorveglianza dell’uomo. E quando le indagini sono partite, tutti gli indagati hanno tentato di occultare quanto successo, incluso il medico del carcere accusato di aver mentito spudoratamente al pm che lo stava interrogando.

Ma le telecamere hanno parlato, la vittima anche, così come alcuni detenuti che erano con lui e non hanno esitato a puntare il dito contro gli autori del pestaggio, oggi tutti ai domiciliari. Ma gli indagati – che nei prossimi giorni dovranno essere sentiti dal giudice per le indagini preliminari – sono tanti e l’inchiesta potrebbe allargarsi.

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