Renato Zero abbraccia il suo pubblico: “Attraverso la mia musica ha trovato il conforto per rimanere a galla”

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“Fare questo concerto dopo tre anni di stop è come riprendere gli studi dopo averli abbandonati e doversi imbattere in Omero. Il palcoscenico è una realtà molto impegnativa”. Con questa emozione Renato Zero si appresta a tenere il primo di sei concerti al Circo Massimo, l’ultimo la sera del primo ottobre quando il totale degli spettatori (circa 15 mila per sera) sarà arrivato a 98 mila. Molti gli ospiti e una scaletta di 32 brani per la serie di eventi intitolati Zerosettanta, con il quale l’artista romano intende celebrare 55 anni di carriera e, con due anni di ritardo causa covid, anche i suoi 70 anni che la sera del 30 settembre diventeranno, festeggiati sul palco, 72: “Per quelli che verranno solo una sera ho aggiunto brani immancabili e una serie di medley che raccontano meglio la mia carriera, del resto ho scritto per cinque cantautori ma io sono soltanto uno”.      

Durante l’estate che si è appena conclusa, il Circo Massimo ha ospitato il carisma di Vasco, l’entusiasmo dei Maneskin, la carica di Ultimo. Ora con Renato Zero accoglie la storia della città, “ma è una città in cui abbiamo perso la piazza e il mercato”, sottolinea Zero, “dove il potere degli artigiani che rendevano il lavoro in bellezza è ormai scomparsi e questo è una grande piaga. Oggi sono a metà strada tra Roma Nord e Roma Sud e questo mi solleva da un razzismo velato ma evidentemente presente e mi dispiace che questa città ne soffra”.

Sa che il suo pubblico accoglie diverse generazioni: “Sono contento che ci siano posti comodi e a sedere, ci sono bambini, donne, anziani. Anche se il Circo Massimo è un po’ dispersivo, a Villa Borghese per i 60 anni ricevetti un bell’abbraccio, qui non si riesce”. Si sente il cantore degli ultimi: “Nei miei brani la solitudine o l’inquietudine fanno parte di un pentagramma necessario, come quello di De Gregori, Guccini, Dylan o Leonard Cohen. Non voglio avvicinarmi a quelle vette però ritengo che un bravo musicista e cantautore abbia il dovere di inserirsi nelle problematiche esistenziali, come ci ha insegnato il melodramma con la Traviata e tante altre opere. Il mio pubblico attraverso la mia musica ha trovato il conforto per rimanere a galla, non solo disimpegno ma canto di guerra, un’oratoria per avvicinarsi alla fede e a Dio, la musica è un companatico”.

Ci sarà un pensiero a Raffaella Carrà durante il concerto, a un anno dalla scomparsa? “No, non ci sarà perché non sono ancora convinto che Raffaella se ne sia andata. Le abito vicino all’Argentario e ad agosto sono stato 4 volte a cena a casa sua con Sergio Japino e Gianluca il suo assistente, abbiamo fatto insieme la pizza con il lievito madre e abbiamo data a quella casa l’assicurazione che Raffaella sa ancora ospitare ed è ancora in grado di ricevere gli amici. Quindi stasera non mi sembrava opportuno, invece ho un debito affettivo per Mimì e Gabriella Ferri e loro nelle prossime serate ci saranno in qualche modo”.

Ci sarà forse un riferimento a Bella Ciao? “Ci sono brani come Vecchio scarpone che li conosco a memoria ma non posso avere una memoria così lunga perché in quegli anni non ero neanche nato, il pappagallo deve essere istruito e poi è meglio non assomigliargli, al pappagallo”.

Che momento attraversa l’Italia? “Mazzini mi ha chiamato e mi ha detto che ha sbagliato tutto. Il fatto è che noi vogliamo la pace, un governo magari fatto di tre partiti com’era prima ma di gente che si rende conto che le loro questioni di simpatia o antipatia devono fare pari con le esigenze degli operai, degli studenti e dei malati. Questi menu ridondanti di promesse, tutte cose che sappiamo già in partenza saranno di là dall’essere attuate, perché non ci sono più soldi e tutto ciò che abbiamo lo abbiamo sacrificato sull’altare delle commissioni e delle tangenti. E le bollette non possono costare queste cifre folli: il problema non è solo della Russia ma di un salvadanaio che non è stato più rimpinguato e non c’è stata una moderazione nel consumo”. “Andiamo a votare come giocando una schedina e non conosciamo i nostri rappresentanti. Abbiamo avuto gli Almirante, i Nenni, i Togliatti, i Saragat, politici che si facevano conoscere nel bene e nel male, e la forza di quell’Italia consisteva nell’approccio che avevano con la gente, che andavano nelle case. Questi, dopo una poltrona e una legislatura e dopo aver disatteso le attese se ne vanno anche con la pensione. Lo trovo offensivo”.    

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