Renzi: “Meloni regge, ma in caso di crisi la aiuterebbe Conte. Europee, obiettivo 10%”

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Senatore Renzi, partiamo dalla lite con Calenda. Una storia finita?
“La rottura è inspiegabile persino per gli addetti ai lavori. Un’alternativa riformista al sovranismo della Meloni e all’estremismo della Schlein deve esserci. Lo chiede la società italiana, non io”.

Schlein le sembra estremista?
“Ha vinto su una piattaforma radicale: se è coerente con le primarie, rompe coi riformisti; se torna indietro, tradisce i suoi; se sta nel mezzo scontenta tutti. Termovalorizzatore, lavoro, nucleare, utero in affitto, Ucraina. Prima o poi Elly dovrà dare qualche risposta”.

Lei guarda ai problemi del Pd, ma il Terzo Polo sembra averne di più.
“Ci siamo impegnati a fare una lista unica alle Europee del 2024, aperta a Più Europa e alle forze civiche. Significa puntare al 10% per essere decisivi in Europa e credibili in Italia. Noi ci siamo. Vedremo se l’assemblea nazionale di Azione cambierà linea e e perché”.

Come può allearsi con Calenda che l’ha accusata di ogni scorrettezza?
“Sono mortificato tutti i giorni da grillini e giustizialisti, sul piano personale non è per me una novità. Non me lo aspettavo da chi si definisce liberale e garantista ma ho un carattere forte e vedo la politica come uno spazio per le idee, non per i rancori o le invidie personali”.

E se tra lei e Calenda fosse solo uno scontro di ego?
“Ho nominato Calenda viceministro, ambasciatore, ministro. L’ho sostenuto per il Parlamento europeo, per il Comune di Roma, come leader del Terzo Polo. Gli ho trasferito un milione e mezzo di euro dai fondi di Italia viva per le campagne di affissione col suo volto. Non mi pare di essere io il problema, insomma”.

Dopo l’elezione di Schlein vedevate “praterie” per il Terzo Polo. Ma i risultati alle Regionali e i sondaggi smentiscono la previsione.
“I voti si misurano sul nazionale, non sulle elezioni locali. La risposta alla sua domanda arriverà alle Europee 2024 e alle Politiche 2027”.

Esclude già ora un’alleanza tra il Terzo Polo e il Pd alle Politiche?
“Il problema non è quello delle alleanze, tema che non esiste perché nel 2024 si vota con il proporzionale e nel 2027 magari ci sarà la riforma semipresidenziale. Il tema è se i riformisti resteranno nel Pd”.

Impazza il dibattito sull’armocromia, sa che ricorda un po’ quello sul suo chiodo da Maria De Filippi?
“Ha ragione. L’unica differenza è che quelli della sinistra che mi attaccarono allora, al grido ‘il segretario del Pd non si fa fotografare così’, oggi difendono Schlein”.

Che idea si è fatto del pasticcio in aula sul Def? Impreparazione o c’è anche la volontà nella maggioranza di dare un segnale a Meloni?
“Impreparazione. Non hanno ricordato ai parlamentari che il ponte del 25 aprile non è sacro. O almeno non è sacro quanto il Def. Mi colpisce però l’arroganza mostrata alla Camera il giorno dopo: hai fatto una figuraccia? Bene, rimedia e lascia perdere. Andare addosso all’opposizione è stato un gesto tracotante. Poi qualcuno, prima o poi, noterà che il Pd va allo scontro fisico in Aula mentre i 5S incassano sempre dagli accordi sotterranei con la maggioranza. La mattina della rottura sul Def la destra ha votato Bonafede alla Tributaria. E prima c’erano stati la Vigilanza e le vicepresidenze d’Aula. I grillini sono all’opposizione di giorno e fanno accordi con la maggioranza di notte”.

Pensa che il governo Meloni le offrirà l’occasione di tornare a orchestrare un cambio di premier?
“Se va tutto come deve andare, Meloni arriva al 2027 ma cambia la composizione del governo dopo le Europee. Se poi combinano qualche pasticcio, allora rischia anche la premier”.

Non è che stavolta Renzi scende in campo per dare una mano a Meloni?
“Non ci crede nessuno, nemmeno Meloni. Se la premier avrà problemi il soccorso arriverà dai grillini. Ma conoscendola farà di tutto per evitare di battere cassa a Conte. Lo tiene al caldo accontentandolo coi Bonafede di turno, ma non è il suo tipo”.

Le tensioni con la Ue, l’attesa per i verdetti delle agenzie di rating. C’è il rischio che si torni alla crisi del 2011?
“Non vedo una catastrofe finanziaria in arrivo. E spero da italiano di non sbagliarmi. Mi preoccupa più lo stallo. Delle tasse non parla nessuno, la riforma costituzionale è sparita, il patto di stabilità ci blocca, la programmazione Rai è sospesa, i decreti attuativi non marciano. Temo l’immobilismo più del baratro”.

C’è chi pensa che l’Italia farebbe bene a non prendere tutti i soldi a debito del Pnrr, con la motivazione che non sarebbero spesi o spesi male. Una strada possibile?
“È una strada possibile e intelligente se fosse provato che alcuni progetti non stanno in piedi. Se dobbiamo spendere 150 milioni indebitando i nostri figli per fare lo stadio della Fiorentina, io che pure sono tifoso viola dico che non ha senso. Fitto è una persona ragionevole e conosce le carte. Certo è che le scelte devono essere rapide e serie”.

Il 3 maggio parte l’avventura da direttore del Riformista. Non si sente in conflitto di interessi?
“Una barzelletta, nessuno ha mai accusato i parlamentari che hanno fatto il direttore di giornale prima di me”.

Vero che vuole fare soprattutto interviste? Se potesse scegliere?
“Facile dire Biden o Xi. Ma vorrei fare soprattutto interviste fuori dalla politica, la preside che ha salvato la ragazzina indiana dalle nozze forzate a Bologna o Alessandro Baricco dieci anni dopo il discorso alla Leopolda. Il giornale non sarà il gazzettino di Iv”.

Immagini di intervistare un suo collega. Cosa chiederebbe a Meloni?
“Quante ore riesci a dormire di notte, Giorgia? Ho l’impressione che la premier stia lavorando troppo, caricandosi anche responsabilità che dovrebbe far gestire ai collaboratori”.

A Conte?
“Hai una idea in cui credi davvero, Giuseppe?”.

L’Unità, con la quale lei condivide l’editore, torna in edicola ma senza i suoi giornalisti. Non si sente responsabile per quel fallimento?
“Assolutamente no. Quando io sono arrivato al Pd c’erano milioni di debiti delle gestioni precedenti e l’Unità era chiusa. Abbiamo provato a riportarla in edicola, non ce l’abbiamo fatta”.

L’impressione è che lei abbia uno zoccolo duro di sostenitori ma anche che sconti l’ostilità, da destra e da sinistra, di tutti gli altri. È d’accordo?
“Sì. Però ho imparato ad accettare l’idea, ormai. E comunque in Aula avverto il rispetto dei colleghi, anche di chi mi odia, anzi soprattutto di chi mi odia. Sarà che forse invecchio e ho quasi cinquant’anni ma se è vero che non sono più popolare come dieci anni fa, e non lo sarò mai più, è anche vero che vivo molto bene questa stagione della mia vita. Quando mi provocano dicendo ‘sei finito’ è allora che mi metto in gioco più volentieri. Ho fatto la maratona di Milano in 3 ore e 58 perché mi avevano detto che non sarei mai stato sotto le quattro ore”.

Molti credono che sia solo questione di tempo prima che lei cambi mestiere. Se non è così, che ambizioni può avere un ex premier?
“Più che presidente del Consiglio dei ministri, che cosa puoi fare? Nulla, è vero. Però puoi fare scuole di formazione e alla fine anche dare una mano non più da centravanti ma da centrocampista. Nella mia vita politica ho vinto tanto, ma non ho mai imparato tanto come quando ho perso. Quando quelli che prima mi adulavano hanno iniziato a far finta di non conoscermi. Lì sono cresciuto, ho capito che si può stare in politica anche semplicemente portando idee e non ambizioni”. 
 

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