Responsabilità civile dei giudici, 8 condanne in 11 anni. Costa: “Legge da cambiare”

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“Otto condanne in 11 anni. Pazzesco. La legge sulla responsabilità civile dei magistrati va rivista subito. E l’occasione giusta può essere proprio la riforma Cartabia. Basta leggere i dati, e chiunque se ne potrà rendere conto”. Dice così, mentre mostra e sfoglia le statistiche che ha ottenuto in esclusiva, il deputato di Azione Enrico Costa, divenuto ormai il garantista più prolifico di proposte sulla giustizia della maggioranza. E mentre i Radicali, con la Lega, annunciano la prossima battaglia sui referendum, Costa lancia i suoi dati e la sua proposta per una nuova responsabilità civile che cambi le regole attuali che, a suo dire, non funzionano affatto. 

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Tema da sempre caldissimo: i giudici che sbagliano, ma non pagano per l’errore commesso. Un referendum, quello dei Radicali nel 1987, disse che l’80,21% degli italiani voleva che le regole cambiassero, e solo il 19,79% votò no. La legge Vassalli dell’88 lasciò l’amaro in bocca ai vincitori. Nel 2015 l’ex Guardasigilli Andrea Orlando cambiò le norme, eliminando il filtro di ammissibilità, ma adesso Costa ragiona sui dati e dice: “La legge va cambiata di nuovo perché anche palesi responsabilità non si riescono a perseguire”. E cita un caso, quella della povera Marianna Manduca, la donna uccisa dal marito a Caltagirone dopo che lo aveva denunciato per le sue violenze per ben dodici volte, ma inutilmente: “Se i magistrati sbagliano devono pagare. Non è possibile costringere i cittadini a vere e proprie peripezie giudiziarie per ottenere dopo anni e anni un risarcimento”.

Ma i dati sulla responsabilità civile che cosa ci dicono? Eccoli qua. Dal 2010 al 2021 sono state avviate 544 cause di responsabilità civile nei confronti di altrettanti magistrati. In media 47 all’anno. Nel 2015, come abbiamo visto, la disciplina è cambiata, e quindi le maglie per mettere sotto “processo” i giudici avrebbero dovuto allargarsi. Ma non è stato così. E i dati lo dimostrano anche in questo caso. Perché rispetto all’anno 2015, il confronto tra le responsabilità contestate prima e quelle contestate dopo non subisce grandi mutamenti. Tranne in qualche città, a Roma per esempio, dove rispetto alle 28 cause tra il 2010 e il 2015, ce ne sono state 66 dal 2016 al 2021. A Milano ce n’erano 3 prima, e 11 dopo. A Brescia 5 prima, e 14 dopo. A Firenze una prima e due dopo. A Palermo solo una, dopo la nuova legge. A Reggio Calabria 7 prima e 6 dopo. A Lecce 6 prima e 9 dopo. “Ebbene – commenta Costa – la grande, immensa pioggia di cause non c’è stata”.

Dal 2010 al 2021 si contano 129 pronunzie tra i tribunali e la Cassazione, ma solo 8 condanne – 3 nei tribunali e 5 in Cassazione – contro lo Stato. Poiché, in base alla legge, la responsabilità non è “diretta”, ma passa dallo Stato che poi si rivale sulla toga. Ricapitolando, dal 2010 e fino a oggi, “solo l’1,4% delle cause iscritte contro i giudici si è conclusa con una condanna definitiva”. Delle cause, certamente alcune si sono infrante contro il filtro di ammissibilità, soppresso poi dalla riforma del 2015, ma altre sono state rigettate, altre ancora sono tuttora in corso. Ma la conclusione di Costa è che “la tendenza è chiara, non c’è stata né la pioggia di cause che i magistrati temevano, né tantomeno la pioggia di condanne”. E cita una frase che, nel 2015, disse l’allora presidente dell’Anm Rodolfo Maria Sabelli: “Il ministro Orlando ha detto che questa riforma è una rivoluzione, invece è una rivoluzione contro la giustizia, contro l’indipendenza dei magistrati”. Ma i fatti non sono andati così.

L’opinione diffusa tra le toghe era quella che il governo Renzi, che già l’anno prima aveva tagliato ex abrupto di ben 5 anni l’età pensionabile dei magistrati, eliminando di fatto le toghe più famose e autorevoli, avesse solo la voglia di “normalizzare la magistratura”. Pur senza arrivare allo sciopero, i magistrati contestarono sia l’eliminazione del filtro di ammissibilità dei ricorsi, sia il passaggio da un terzo alla metà della rivalsa dello Stato sullo stipendio della toga. Ma soprattutto quello che fece più discutere riguardava l’attività di interpretazione della legge, che alla fine però fu eliminato. Ma i dati, a questo punto, dimostrerebbero che la “nuova” responsabilità civile si è rivelata un flop. Almeno a detta dei super garantisti come Costa.

Vediamo la situazione negli uffici giudiziari. In tribunale, su 62 sentenze, ci sono state solo 3 condanne, in appello 11 sentenze e “zero” condanne, in Cassazione 23 sentenze e 5 condanne. Ma in quali distretti si iscrivono più cause? Spicca Perugia con 136 richieste in 11 anni, e solo 6 sentenze emesse, di cui nessuna di condanna. Quindi il risultato è 136 a zero. Nessuna responsabilità mai riconosciuta, in ben 11 anni, in quel distretto.

Infine ecco altri elementi utili che si possono trarre dalle tabelle. Dal 2005 al 2014 c’erano state 9 condanne con una liquidazione media degli importi pari a 54mila euro. Quando venne approvata la legge del 2015, ricorda Costa, nella relazione tecnica fu inserita una proiezione di possibile aumento delle condanne, prevedendo che ce ne potessero essere almeno dieci all’anno per una cifra complessiva di 540mila euro. Somma che fu prevista tra le possibili spese della legge di cui il bilancio doveva tenere conto. Facendo un bilancio Costa conclude: “Era una cifra minima, se si pensa ai numeri della responsabilità professionale negli altri settori in cui è prevista. Però a 10 condanne non si è mai arrivati, neanche in 11 anni”. 

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