Riforma giustizia, la proposta: sottrarre al Csm il controllo disciplinare sulle magistrature e trasferirlo a un’Alta corte. Per Cartabia “sarebbe un bel segnale”

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ROMA – “Sarebbe un bel segnale” dice Marta Cartabia quando il dem Walter Verini rilancia la proposta di trasferire a un’Alta corte tutto il capitolo del controllo disciplinare sulle magistrature. Anche se poi aggiunge che si tratta ovviamente di “una materia parlamentare”. È questa la notizia più sfiziosa del primo vertice in via Arenula sulla riforma del Csm, l’ultima delle tre leggi strategiche per ottenere i fondi del Pnrr dopo quelle del processo penale e civile. 

La ministra della Giustizia convoca in via Arenula i partiti della sua maggioranza. E subito, sul tavolo, ecco la duplice proposta di Verini che con il grillino Eugenio Saitta è relatore della riforma. Verini chiede garanzie su un’effettiva parità di genere per le elezioni del Consiglio, e rilancia la proposta di Luciano Violante, togliere dal Csm la sezione disciplinare e affidare il compito a un’Alta corte che si occupi di tutte le magistrature, ordinaria, amministrativa, contabile. Una riforma costituzionale che però, secondo Verini, potrebbe costituire “la sfida di questo ultimo scorcio di legislatura, anche se non dovesse giungere a una conclusione”. 

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Una proposta che evidentemente piace a Cartabia che la chiosa con una battuta – “sarebbe un bel segnale” – ma subito dopo ricorda che si tratta di una riforma costituzionale, quindi di una materia prettamente parlamentare. Ma Verini è convinto che, anche se non si dovesse giungere, visti i tempi, ad approvarla definitivamente, comunque si tratterebbe di un passaggio importante, da affidare poi alla legislatura successiva. 

Saitta invece chiede a Cartabia di riflettere sull’aumento del numero dei consiglieri del Csm – da 16 a 20 i togati, da 8 a 10 i laici peraltro già previsto dal testo dell’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede – perché proprio il taglio dei parlamentari dovrebbe suggerire invece una maggiore cautela nell’aumento dei componenti del Consiglio. 

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La scommessa della nuova legge elettorale 

È dal 2019, quando è esploso il caso Palamara, che tutti pressano per cambiare le regole del Csm, dalla legge elettorale alla sua vita interna, a partire dalla valutazione professionale e dalle promozioni dei magistrati, nonché sul destino delle toghe che scendono o tentano di scendere in politica. L’attuale Csm è rimasto in piedi proprio perché non sarebbe stato utile votare con le stesse regole che nel 2018 evidentemente avevano favorito la spartizione delle correnti (per esempio ci furono solo quattro candidati per quattro posti da pubblici ministeri). Ma adesso, a nove mesi dalla scadenza dell’attuale Consiglio, la questione è diventata urgente. Tant’è che a sollecitare la nuova legge elettorale, una settimana fa, è stato proprio il vice presidente del Csm David Ermini

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Ma adesso ci siamo. A maggio il gruppo di lavoro presieduto dal costituzionalista Massimo Luciani ha fatto le sue proposte. Ora tocca al Parlamento decidere. E Cartabia parte subito con un primo giro di consultazioni con chi si occupa di giustizia nei partiti della sua maggioranza a partire dalla legge elettorale. Con la consapevolezza, dice introducendo la riunione, che di certo il sistema elettorale serve, può avere la funzione di correttivo rispetto alle degenerazioni che ci sono state, ma non si può credere in un effetto taumaturgico della riforma, sulla quale dunque non si possono concentrare troppe aspettative.

Cartabia dice anche dell’altro ai partiti. Per esempio ricorda  che bisogna riflettere sulla possibilità di un futuro rinnovo biennale di una parte del Consiglio. E ancora che, nell’attuale Csm, ci sono consiglieri eletti in seconda e terza battuta rispetto alla prima elezione, per via delle dimissioni dopo il caso Palamara e i fatti dell’hotel Champagne. Consiglieri che dovrebbero completare i 4 anni di permanenza al Csm previsti dalla Costituzione. Ma su questo, dai partiti, arriva un primo “niet”, l’idea è quella di mandare tutti a casa dopo i quattro anni effettivi del Consiglio che scadono tra luglio e settembre dell’anno prossimo.

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La futura legge elettorale 

È tutto da scrivere il futuro meccanismo elettorale. E il confronto in via Arenula – che volutamente la ministra ha voluto prima di procedere a qualsiasi soluzione – dimostra che la stessa maggioranza è divisa. Il Pd con Verini e Alfredo Bazoli rilancia la soluzione Ceccanti, piccoli collegi con un ballottaggio, e ritiene del tutto impercorribile la strada del sorteggio. Mentre la Lega con Roberto Turri e Forza Italia con Pierantonio Zanettin insistono proprio sul sorteggio degli eleggibili, seguito poi da un voto. Lucia Annibali per Italia viva è “favorevole al sorteggio con eventuali correttivi e approfondimenti”, ma ritiene “non più procrastinabile una reale valutazione di professionalità delle toghe”. Federico Conte di Leu è per un proporzionale secco. Saitta rilancia il sistema alla fine scelto da Bonafede che aveva messo da parte l’iniziale sorteggio per i rischi di costituzionalità che comportava e aveva ipotizzato un maggioritario con collegi molto piccoli, e per essere eletti almeno il 65% dei voti. Enrico Costa di Azione vuole il voto singolo trasferibile (la proposta Luciani), e in subordine accetta il sorteggio. Ma sul Csm il suo giudizio è drastico perché bisogna “colpire sette vizi capitali del sistema: il correntismo, i passaggi dalle funzioni di pm a giudice, il disciplinare che fa acqua, il fenomeno dei magistrati tutti promossi, la responsabilità civile senza responsabili, le porte girevoli con la politica e una miriade di fuori ruolo”. Un’analisi che lascia intendere come neppure la riforma del Csm potrà essere politicamente indolore. 

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La sfida dell’ufficio del processo 

Per una coincidenza, subito dopo il vertice con i partiti, ecco che Marta Cartabia è al Csm per parlare dell’ufficio del processo, l’assunzione per tre anni di 16.500 ausiliari del giudice. Un fatto “strategico”, “un cambio di paradigma nell’esercizio della giurisdizione, perché introduce negli uffici giudiziari la dimensione dell’équipe”. Spiega la ministra: “È come in una sala operatoria: il chirurgo resta sempre uno e sarà sempre lui a dover incidere e operare. Ma a supportarlo ci sarà una squadra di validi e diversi collaboratori, che potranno contribuire all’efficacia e all’efficienza del suo intervento”. 

Ed ecco i numeri. “Siamo a un passaggio essenziale” dice Cartabia. A novembre si svolgeranno le prove per il primo contingente di 8.171 addetti, per il quale sono arrivate più di 66mila candidature. Entro dicembre i capi degli uffici dovranno provvedere a elaborare i piani organizzativi. Partirà poi un nuovo bando per altre 5.410 unità, tra statistici, personale informatico, tecnici. “Tutte figure – dice Cartabia – necessarie al riammodernamento profondo del sistema giustizia”.

Il vicepresidente del Csm David Ermini è convinto che “la magistratura italiana farà quello che si deve fare” perché le toghe “hanno compreso fino in fondo l’enorme potenzialità di questo progetto, e sono pronti a mettersi in gioco abbandonando un approccio alla giurisdizione solitario e individuale per metabolizzare un nuovo metodo di esercizio della propria professione, di tipo collaborativo e di staff”. Ermini però ricorda che “per troppi anni si è investito troppo poco e male nella giustizia”, tant’è che oggi “il numero dei posti scoperti nella pianta organica dei magistrati ordinari raggiunge le 1.300 unità”. Quindi “è necessario, con urgenza, procedere alla copertura, avviando le procedure concorsuali”.

È la stessa questione che affronta Ciccio Zaccaro, il presidente di Area della settima commissione. Che chiede di “colmare, con politiche di reclutamento le più celeri possibile, i drammatici vuoti nell’organico dei magistrati, circostanza che apprezziamo quotidianamente perché ogni trasferimento, disposto con l’ottima intenzione di prestare aiuto a un ufficio, determina difficoltà nell’ufficio di provenienza”. Zaccaro conclude così: “La coperta è veramente troppo corta, anzi è quasi finita”.

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