Ringo Starr, un nuovo disco per la pace e il pianeta “È inevitabile cambiare il mondo per come è adesso”

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Si può non amare Ringo Starr? Certamente no. Se proprio non lo si ama si può considerare comunque come uno di famiglia, un vecchio zio, magari un nonno, qualcuno comunque con il quale si è trascorso talmente tanto tempo che è impossibile non riconoscerlo come un parente. Alla lontana, ovviamente, visto che non abbiamo la possibilità di frequentarlo, ma lui, ogni tanto, come faceva con i suoi tre altri ‘fab’, ci manda una cartolina, una lettera, un pensiero (c’è un bellissimo libro che Ringo ha realizzato nel 2004 fa in cui ha raccolto le cartoline che riceveva dagli altri, Cartoline dai Beatles), sotto forma di canzone.


Quest’anno lo ha fatto addirittura due volte, prima con Zoom in, lo scorso marzo, un ep con cinque brani, e ora con Change the world, un altro ep con quattro canzoni. “La verità è che è stata una benedizione avere uno studio di registrazione in casa in questo periodo della pandemia”, dice presentando l’album dal suo studio nella casa di Los Angeles, “ci sono stati giorni in cui non c’era davvero nulla da fare in casa, quindi ci siamo messi a scrivere canzoni”. E così, rapidamente, per divertimento e per passione, è nato Change the world, che ha un titolo impegnativo ma che risponde esattamente allo spirito di Ringo, che alla veneranda età di 81 anni è tutto ancora ‘peace and love’, sorrisi, bonarietà, amicizia e vitalità.

Ma anche impegno, in questo caso sul fronte della battaglia ambientalista: “È inevitabile cambiare il mondo per come è adesso”, dice Ringo, “io vivo negli Stati Uniti e sto bene, ma metà del mondo muore di fame e metà del mondo è senza acqua e se ce l’hanno è acqua inquinata. Nel giro di qualche anno sarà difficile anche respirare a causa dell’inquinamento dell’aria. Bisogna iniziare a fare qualcosa e si può iniziare, comunque, con un po’ di amore, comportandosi con gentilezza con i vicini di casa, con gli amici, con le persone che si incontrano ogni giorno, bisogna pensare agli altri. E ai nostri figli. In questi giorni a New York si trovano tutti i grandi del mondo, discutono, ma c’è tanto da fare, e subito, per cambiare il mondo. Ogni tanto penso ai politici, mi chiedo se hanno figli, se i loro figli hanno figli. Non è una ragione sufficiente per cambiare il mondo, per lasciare che possano respirare e trovare acqua?”.

Mentre dice queste parole è l’unico momento in cui cambia tono, si fa serio, ‘anche troppo’, aggiunge non appena chiude la frase, e torna immediatamente a irradiare, come sempre ha fatto, allegria e buon umore. Anche quando qualcuno gli fa notare che forse il suo costante richiamo a ‘peace and love’, pace e amore, non ha trovato grandi riscontri nel mondo, Ringo ribatte che si sbaglia, “che quando abbiamo cominciato nel 2008 con questo movimento, a Chicago, eravamo un centinaio, adesso siamo in ventotto paesi nel mondo, e ogni anno l’evento si ripete, il sogno continua”.

Sì, il sogno di Ringo continua, dalla fine degli anni Cinquanta, e lui stesso lo celebra nell’ep suonando e cantando un classico del rock’n’roll come Rock around the clock: “Ero in questa stanza, a pensare a cosa mi sarebbe piaciuto suonare, e ho viaggiato indietro con la memoria, ho ricordato quando ero piccolo e a causa della tubercolosi ero costretto in ospedale, passando lì un compleanno dopo l’altro. Quando finalmente potei uscire i miei mi portarono in gita, prima a Londra e poi mia nonna mi portò all’Isola di Man. Andai al cinema, pensavo di trovarci solo turisti, e invece era pieno di ragazzi che, alla fine, distrussero letteralmente il cinema. Io pensai che quella musica fosse grandiosa e ricordo ancora quel momento preciso, come fosse ieri, perché decisi che volevo suonare. Quindi ho pensato di mettere Rock around the clock nel mio ep, ho chiamato Joe Walsh, lui ha ‘rockato’, io pure, e ci siamo divertiti a fare una bella canzone senza un motivo preciso”.

Nell’ep, come accade sempre nei lavori di Ringo, ci sono alcuni amici che ‘danno una mano’, vecchi amici come Joe Walsh e Steve Lukather (“Ci divertiamo sempre con Steve, ma lui si commuove e piange durante le sessions”) e nuovi compagni di strada, come in questo caso Linda Perry: “Mi piace lavorare sempre con artisti diversi, è lo stesso concetto con il quale va avanti la All Starr Band, cerco dei grandi artisti che abbiano delle belle canzoni che possiamo suonare e cantare insieme, se qualcuno mi interessa lo chiamo e gli chiedo se vuole lavorare con me e, per fortuna, quasi nessuno si tira indietro. Ho chiamato Linda, le ho chiesto se aveva qualche canzone per me, mi ha detto di no. Poi però mi ha richiamato e me ne ha proposte tre, e ne ho scelta una. È stato bello, lei suona tutto, ci siamo capiti subito, abbiamo fatto quasi tutto io e lei da soli. E alla fine volevamo un suono di trombone e si è aggiunto Trombone Shorty, direttamente da New Orleans”.

Nell’ep ci sono tanti grandi musicisti al ‘fianco’ di Ringo: “Anche se con la maggior parte di loro abbiamo lavorato a distanza, io qui nella mia camera da letto che ho trasformato in studio, loro nelle loro città, mandandoci file. Ma è bellissimo poter fare musica anche così”. E a Change the world hanno quindi collaborato Nathan East, Steve Lukather, Joe Walsh, Bruce Sugar, tanti coristi e il fenomenale duo reggae di Tony Chen e Full Fullwood: “Meglio lavorare a distanza che stare fermi”, dice ancora Ringo, “io voglio tornare in tour, assolutamente, ho voglia e bisogno di suonare, ma non si può, bisogna stare attenti e fino al prossimo anno non ci muoveremo ancora. Ma registrare in questo modo ha salvato la mia vita in questi mesi. Non sappiamo ancora cosa succederà, abbiamo spostato le date già per due anni, il tour è pronto, con tanto di itinerario, ma è impossibile dire quando ricomincerà. È ancora tutto complicato e incerto: siamo stati a Londra con mia moglie per andare a trovare figli e nipoti, ma è stato sorprendente, ad esempio, vedere che noi eravamo gli unici con la mascherina in tutta King’s Road. Il vaccino ci sta aiutando, le mascherine anche, ma non c’è ancora abbastanza sicurezza”.

Gli argomenti conclusivi dell’incontro con Ringo sono quelli inevitabili, primo fra tutti il ricordo di Charlie Watts: “Charlie era grande, molto divertente, era il cuore della sua band come io lo ero della mia, il nostro compito era di tenerli insieme. Siamo stati amici, vivevamo vicini di casa a Londra, uscivamo spesso insieme, ci trovavamo a cene e concerti. E alle feste. Ne ricordo una, negli anni Settanta, in cui c’era chiunque e arrivò anche John Bonham. A un certo punto ha iniziato a suonare e pestava così forte che io e Charlie ci dovemmo mettere a tenere ferma la cassa per non farla rotolare via. All’epoca non c’era TikTok o gli smartphone e non ci sono foto di quel momento, e io non facevo fare foto a nessuno alle mie feste. Ma quella sarebbe stato bellissimo averla. Charlie era un bellissimo essere umano e mi mancherà”.

Peter Jackson riporta i Beatles al cinema: in agosto arriva ‘Get Back’

E poi i Beatles, soprattutto perché sta per arrivare il documentario di Peter Jackson Get back, che farà il suo esordio su Disney+ a novembre: “È un po’ lungo”, dice Ringo ridendo, “dura sei ore, quindi abbiamo deciso di farlo diventare una serie e dividerlo in tre serate. E se devo dire la verità sei ore non sono abbastanza. Il film originale si era concentrato su piccoli incidenti che avvenivano tra noi, non aveva la gioia che invece Peter ha ritrovato in oltre 56 ore di materiale girato. In un mese facemmo il disco e il concerto sul tetto. Avevamo deciso di tornare a suonare dal vivo e le idee per farlo erano assurde, da suonare su un vulcano a fare il concerto in un deserto. Invece pensammo che alla fine l’idea migliore fosse quella di salire le scale e suonare sul tetto. Nel film adesso ci sono tutti i 43 minuti del concerto, in Let it be ce n’erano solo otto. Il risultato finale, lo vedrete, è bellissimo, Peter ci sta ancora lavorando per mettere a posto le ultime cose”.

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