“Ripuliamo Michelangelo, ma il lavoro sporco lo facciamo fare ai batteri”

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Andate in posto lurido, inquinante, abbandonato. Fate incetta di batteri, studiateli, selezionateli e imprigionateli in un gel. Fateli morire o quasi di freddo portandoli a meno 80 gradi, “affamateli” e – solo dopo averli trasformati in fedeli pulitori al vostro servizio – liberateli davanti ad un’opera d’arte annerita dal tempo o dalla trascuratezza. Si avventeranno sullo sporco come ospiti sul buffet: patine, grasso, croste, divoreranno tutto. Nessuno come loro saprà riportare allo splendore il candido marmo di una statua, ridare vividezza ai colori di tele e affreschi o nitore alle pagine di un documento storico.

 Dal letame può nascere un fiore: Fabrizio De André lo ha scritto, ma le ricercatrici dell’Enea lo hanno dimostrato. Sono loro che, applicando all’arte i principi della biopulitura, hanno creato un archivio di 1.500 microrganismi – fra batteri, funghi e alghe – capaci di “ripulire” monumenti, quadri, pagine di antichi testi.  Una piccola squadra tutta al femminile, creata una decina di anni fa da Anna Rosa Sprocati e coordinata oggi da Chiara Alisei, che ha brevettato un processo biotecnologico unico al mondo, utilizzando i pochi fondi disposizione e sfruttando fino all’ultimo centesimo le risorse interne.

Chiara Alisei e Anna Rosa Sprocati 

La missione originaria del gruppo, in verità, doveva essere quella di mettere la microbiologia ambientale al servizio delle bonifiche di terreni e luoghi inquinati. Ma analizzando le fabbriche dismesse e le miniere abbandonate le ricercatrici hanno capito che le infinitamente piccole “bestioline” che ci vivevano potevano essere messe al servizio dell’arte per la rimozione delle patine.

Una rimozione perfetta, sostenibile al cento per cento e del tutto sicura. “Perché a differenza dei prodotti chimici – spiega Alisei – non c’è alcun impatto sull’opera: il batterio mangia lo sporco e si ferma lì. Il gel brevettato viene applicato il pomeriggio e levato la mattina dopo, non c’è pericolo di impatto chimico, è tutto naturale”. Certo, precisano le ricercatrici Enea “La fase dell’indagine è fondamentale: bisogna individuare fra i 1500 microrganismi selezionati quello perfetto. Se spalmi un gel con il batterio sbagliato puoi rovinare tutto creando, per esempio, un buco sulla tela”.    

La loro è una eccellenza tutta italiana, che come spesso accade, fatica ad ottenere gli investimenti di cui avrebbe bisogno per crescere. La cosa buona e che di questa incredibile storia se n’è accorto il “New York Times” che qualche mese ha dedicato alle “italiane” un ammirato articolo. 

L’occasione è stata il restauro, effettuato con questa tecnica, dei monumenti funebri realizzati da Michelangelo per Lorenzo e Giuliani de’ Medici, nelle Cappelle Medicee di Firenze. Dopo quella pagina le ricercatrici Enea sono state sommerse da chiamate da tutto il mondo – da un monaco delle Hawaii che voleva ripulire un tempio, all’Università di Berkeley –   da parte di chi volevano saperne di più sul loro archivio e sul magico gel.

“Peccato che di questo nostro brevetto non sia stato ancora utilizzato a pieno – spiega Anna Rosa Sprocati – così al monaco e all’Università americana abbiamo dovuto dire che non esiste un prodotto industriale da comperare”. La piccola squadra delle ricercatrici Enea si attrezza come può: interviene a chiamata, ma già allontanarsi da Roma è un problema. Così le applicazioni pratiche di tanta genialità si contano, per ora, sulle dita di una mano. Cercasi investimenti. E pensare che di progetti le ricercatrici ne avrebbero tanti: “Qui abbiamo fatto, ora sarebbe il caso di concentrare i nostri sforzi sul cambiamento climatico” avvertono.

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