Rublo digitale, la carta di Mosca per aggirare l’esclusione dal sistema finanziario. I dubbi su tempi ed effetti pro-crescita

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La Russia tenta la carta della moneta digitale. Nella sua riunione del giorno di Ferragosto, la banca centrale di Mosca – oltre a varare l’aumento dei tassi dall’8,5 al 12% – ha dato il via libera alla sperimentazione della “CBDC” (Central Bank Digital Currency), annunciandola come uno stimolo alla ripresa economica.

Salvo poi, poche righe dopo nel comunicato, puntualizzare che a iniziare è solo una fase sperimentale che interessa 13 banche e non più di un milione di risparmiatori in undici città sparse nell’immenso Paese, e prima di diffondere il rublo digitale bisogna aspettare almeno il 2025-26. Più o meno gli stessi tempi che si sono date le altre 22 banche centrali di tutto il mondo – da Fed e Bce fino alla Nigeria – che stanno conducendo analoghe sperimentazioni. La più avanzata è la Cina dove già si comincia a registrare qualche transazione “vera”.

I benefici di una “valuta parallela”

Eppure, se uno Stato potrebbe forse trarre benefici da una valuta parallela, questo è proprio la Russia. Il rublo ha risentito beneficamente del rialzo dei tassi (era quotato a 96 dollari sul mercato di riferimento di Londra a metà giornata) ma le incognite restano tutte. Sempre più isolata non solo militarmente, sottoposta a pesanti e capillari sanzioni ormai estese alle attività finanziarie dei 1500 più ricchi oligarchi (a partire dallo stesso Putin), privata della risorsa gas per la diversificazione intrapresa in Europa, tagliata fuori dal circuito internazionale Swift, Mosca cerca la strada per bypassare tutto questo. Anche le riserve valutarie, 300 miliardi per due terzi in Europa e il resto in America, sono congelate, e il cambio praticamente lo è: anzi, il fatto che le transazioni ormai avvengono solo in rubli sta gonfiando la massa monetaria causando inflazione, come ha avvertito l’accorta Elvira Nabiullina, a capo della banca centrale. Insomma, lo sforzo di Mosca ha qualche spiegazione anche se i tempi non sono immediati e le difficoltà ancora maggiori che in occidente. Per di più, i Paesi Nato hanno tutto il tempo per studiare contromisure anche in questo caso.

I dubbi sul contributo alla crescita

Ancora più aleatorio è il contributo alla crescita di un’innovazione del genere. Una moneta digitale funziona in modo non molto diverso da quella che ognuno di noi detiene nel circuito delle carte di credito e utilizza tramite il telefonino. La differenza è che la valuta “risponde” a un conto aperto da un singolo cittadino presso la banca centrale. Sono escluse quindi le spese connesse con la movimentazione del denaro e la tenuta dei conti, nonché i rischi di un fallimento della banca. Non è quest’ultima un’ipotesi da escludere neanche in occidente (come testimoniano esempi anche molto recenti) ma è particolarmente significativa nei Paesi in via di sviluppo, che sono infatti molto interessati all’innovazione che oltretutto aprirebbe il mercato del credito a centinaia di milioni di persone che un conto in banca non ce l’hanno (la Russia è fra questi soprattutto per le infinite distanze). Una valuta digitale, non si stancano di ripetere tutte le istituzioni coinvolte, non è un bitcoin o simili, perché la sua emissione è comunque soggetta a contingentamenti e controlli della banca centrale. È un modo per estendere la circolazione del denaro e arginare le cryptocurrency “private”, quelle sì speculative e pericolose. Lo spunto perché iniziassero le sperimentazioni venne dalla minaccia, poi rientrata, che Facebook emettesse la sua valuta, chiamata Libra.

In Russia c’è un problema in più: il mercato nero, di qualsiasi genere e anche del denaro, è da sempre un problema. Anche questo in qualche modo si vorrebbe controllare per via digitale. Per ora si sono intensificati i controlli: se si entra in un negozio e si compra qualcosa in dollari, si rischia di essere arrestati.

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