Rugby, è morto Massimo Cuttitta: 70 volte nazionale, stroncato dal Covid a 54 anni

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Placcarlo sul campo è sempre stato un problema per gli avversari, con tutti quei chili di muscoli e una forza impressionante. Massimo Cuttitta detto “Maus”, uno dei rugbisti italiani più noti e rappresentativi, per 70 volte pilone della Nazionale tra il 1990 e il 2000, tra i grandi protagonisti di quella squadra azzurra che conquistò sul campo il diritto a partecipare al torneo delle Sei Nazioni, diverse presenze nei Barbarians, poi allenatore a livello internazionale: è morto a 54 anni, stroncato dal Covid. Da alcune settimane lottava contro la malattia, negli ultimi giorni le sue condizioni si erano aggravate.

Originario di Latina, gemello di Marcello, che giocava all’ala e con lui ha condiviso una lunga e fortunata carriera, Massimo Cuttitta era stato anche per anni allenatore della mischia della Scozia, contribuendo al rilancio della squadra britannica. Più recentemente era stato consulente tecnico di Romania, Canada e Portogallo. Aveva imparato a giocare a rugby in Sudafrica, dove i genitori si erano trasferiti per motivi di lavoro negli anni Sessanta: Pinetown, un sobborgo di Durban. La famiglia rientrò in Italia nel 1985, e i fratelli Cuttitta – ce n’era un terzo, il maggiore, Michele, che però ad un certo punto lasciò lo sport per dedicarsi agli studi di ingegneria – furono tesserati per l’Aquila. Il primo ad essere convocato in azzurro fu Marcello, poco dopo arrivo il tempo di “Maus”, pilone sinistro di grande energia e tecnica eccezionale: il primo a convocarlo fu il ct Bertrand Fourcade, esordì nel 1990 contro la Polonia. Nel frattempo si era già trasferito a Milano in una squadra dove rimase per 10 stagioni vincendo 4 scudetti e una Coppa Italia insieme a campioni come Dominguez, Campese, Vaccari, Properzi, Gomez.

Due partecipazioni ai Mondiali (1991 e 1995) sempre col fratello, la storica vittoria di Grénoble nel 1997 – quando l’Italia batté la Francia che aveva appena vinto il Cinque Nazioni -, nel 1998 andò a giocare a Londra negli Harlequins, quindi nel Calvisano. Tra i momenti più belli della sua carriera, naturalmente il meritatissimo esordio nel Sei Nazioni con la vittoria al Flaminio contro la Scozia nel 2000: un reparto da ricordare, con Moscardi e De Carli. Due settimane dopo scese in campo anche a Cardiff, poi a causa di un infortunio cedette il posto al giovane Perugini. Dalla stagione successiva, fu allenatore e giocatore: Bologna, Roma, Alghero, Brescia (il ritiro da atleta nel 2006), Edimburgo, quindi la Scozia. Una energia impressionante, lo sguardo di un uomo tranquillo. “Quando c’è stato da lottare, non mi sono mai tirato indietro: ho sempre dato tutto, in campo e nella vita”, ripeteva. Era un uomo di prima linea: si è battuto fino all’ultimo con coraggio, come sempre.

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