Rushdie accoltellato, parla Ian McEwan: “Un feroce attacco alla libertà di pensiero. Ma il mio amico Salman continuerà a lottare”

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LONDRA – Ian McEwan è sconvolto ma non ha dubbi: “Questa aggressione sconvolgente contro il mio amico Salman Rushdie rappresenta un assalto alla libertà di pensiero e di parola”, scrive a caldo a Repubblica e al Guardian lo scrittore inglese, subito dopo il clamoroso attentato subito dal 24enne Hadi Matar, del New Jersey e arrestato per aver tentato di uccidere l’autore dei versetti satanici, dopo aver comprato un biglietto da 30 dollari per l’evento a Chautauqua, nel nord-ovest del Stato di New York.
 
“Eppure queste”, ossia quella di pensiero e parola, “sono le libertà alla base di tutti i nostri diritti”, continua McEwan, anche lui scrittore intellettualmente libero e amico da oltre due decenni di Rushdie, dopo quella maledetta fatwa dell’ayatollah Khomeini. Il 74enne scrittore inglese, di un anno più giovane di Salman, è stato uno degli intellettuali che da subito gli è stato più vicino, nonostante inizialmente l’establishment britannico se la fosse presa con “l’offensivo” e “pericoloso” Rushdie. 

Tanto che, come ricordava un vecchio articolo otto anni fa, a riprendere Rushdie furono l’ex primo ministro britannico Edward Heath, l’Arcivescovo di Canterbury, l’ex presidente americano Jimmy Carter e persino il Principe Carlo, come all’epoca ricordò un altro colosso della letteratura inglese – e altro fermo sostenitore di Rushdie – Martin Amis. “Parlammo di Salman a una cena”, ricordò il romanziere alla rivista americana, “e litigammo perché ad un certo punto il principe si mise a dire “beh, se uno offende le profonde convinzioni degli altri…”. Io gli risposi che un romanzo non offende nessuno. Carlo apparentemente fece finta di capire ma ebbi il sospetto che avrebbe ridetto la stessa cosa al party successivo…”.

Gli amici scrittori no, invece. Non hanno mai abbandonato Rushdie. “Salman è sempre stato in difensore ispirato degli scrittori e giornalisti perseguitati”, ci ricorda oggi McEwan, “in tutto il mondo”. Lui, Amis, Doctorow, Ishiguro e gli altri esponenti degli gruppo di scrittori impegnati “Pen” hanno adottato Rushdie sin da subito, per amicizia, solidarietà ma anche per questioni ideologiche. Addirittura, negli anni più bollenti dopo la fatwa del 1989, McEwan invitò Salman a stare con lui, nel suo bucolico cottage nell’inglese Gloucestershire: “La sicurezza “ripulì” e controllò tutta la mia casa, Salman venne a srare da me vivendo un misto di energia, follia e sollievo.

I ricordi di questa convivenza “forzata”, e tenuta segreta per circa venti anni, sono straordinari. “Non dimenticherò mai quando la prima mattina ci siamo svegliati e visti a colazione. Eravamo in cucina, preparando toast e caffè e ascoltando la radio, e la Bbc raccontava di come Hezbollah ripromettesse di ucciderlo. Era tutto così triste e tragico”. Aggiungeva Rushdie, sempre a Vanity Fair: “Ian era molto scosso da tutto ciò. Per me invece era diverso: ricevevo minacce di morte ogni giorno, anche più di una… certo, ero turbato anche io. Ma Ian è una persona squisita e lui lo era turbato molto di più, vedendo quanto stava capitando a un amico”.

“Salman ha uno spirito coraggioso e generoso”, commenta oggi McEwan, “un uomo di immenso talento e coraggio. E”, nonostante quanto sia successo, “continuerà a lottare”.

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