Russi a Bergamo, cosa è stata l’operazione virus

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“Putin si offrì di mandare personale specializzato. Mi disse che loro avevano maturato grande esperienza su come affrontare le pandemia perché avevano avuto la Sars. Noi eravamo in grandissima difficoltà. Ogni aiuto era ben accetto”. L’allora premier Giuseppe Conte ieri ha finalmente chiarito la genesi della missione russa in Italia dal marzo al maggio 2020, ufficialmente nata per contribuire alla lotta contro il Covid: è stato il presidente Putin a offrirla al governo italiano. Si è trattato della prima operazione militare russa in assoluto condotta in un Paese della Nato, sfruttata dai media del Cremlino in tutto il mondo per mettere in cattiva luce l’Unione europea e l’Alleanza Atlantica.  

I fatti

Un’inchiesta longform di Repubblica ha ricostruito un anno fa tutti gli aspetti della vicenda. Dopo il colloquio tra il Cremlino e Palazzo Chigi, domenica 22 marzo 14 aerei cargo militari Ilyushin 76 sono atterrati nell’aeroporto militare di Pratica di Mare trasferendo una colonna mobile delle forze armate russe. Si trattava della task force allestita una settimana prima a Mosca in vista del possibile arrivo del coronavirus: in quel momento in Russia erano stati registrati pochissimi casi mentre in Lombardia e Veneto il Covid stava già facendo strage.

Numeri e caratteristiche della spedizione russa non sono stati concordati con il governo italiano. La colonna mobile russa poi si è spostata a Bergamo, dove ha svolto una duplice attività: ha collaborato con il personale dell’ospedale Giovanni XXIII e con quello dell’ospedale d’emergenza allestito dagli alpini nella Fiera e ha sanificato una lunga serie di case di riposo nelle province di Bergamo e Brescia. I movimenti all’esterno degli ospedali sono sempre stati accompagnati da militari italiani.

Secondo la ricostruzione di Repubblica l’obiettivo principale della missione era però quello di acquisire tutte le informazioni sul Covid, sugli strumenti e sulle procedure per contrastarlo: un’operazione di intelligence batteriologica – non di spionaggio classico per carpire dati militari – destinata a mettere la Russia in grado di fronteggiare la pandemia. La nostra inchiesta è basata sull’analisi dei profili dei 106 uomini e donne mandati da Mosca in Italia e sulle dichiarazioni da loro rilasciate alla stampa russa.

All’interno del contingente c’erano infatti pochissimi medici e infermieri con un’esperienza clinica – abituati cioè a curare i pazienti in corsia – ma erano presenti i migliori specialisti russi nel campo delle ricerche su vaccini, terapie e piani epidemiologici. I risultati degli studi da loro effettuati a Bergamo non sono mai stati condivisi con le autorità italiane.

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I nomi

La spedizione bergamasca era agli ordini diretti del ministro della Difesa Sergei Shoigu, il “falco” del Cremlino che adesso ha spinto per l’invasione dell’Ucraina. A comandarla era il generale Sergej Kikot, con una lunga esperienza maturata anche in Siria. Kikot è al vertice del RKhBz, la rete dei reparti chimico-batteriologici di Mosca che conta oltre 22mila uomini: in Italia guidava poco più di cento persone. Durante il periodo a Bergamo, il generale Kikot si è collegato in teleconferenza con il ministro Shoigu. “Uno dei principali risultati del viaggio in Italia è la grande esperienza maturata nel lavoro pratico su attrezzature che non erano mai state utilizzate in modo così intensivo”, ha dichiarato Kikot nel maggio 2020 a Stella Rossa, la storica rivista delle forze armate russe, mentre era ancora in Lombardia: “L’uso dei nostri strumenti ci poneva immediatamente davanti all’obbiettivo di scoprire quanto fossero efficaci e di identificare come migliorarli. Abbiamo prontamente inviato le nostre proposte ai produttori e le stanno attuando”. 

Della spedizione facevano parte Natalia Y. Pshenichnaya e Aleksandr V. Semenov. Si tratta della vicedirettrice dell’Istituto centrale di ricerche epidemiologiche e di un ricercatore dell’Istituto Pasteur di San Pietroburgo: facevano capo al vertice di Rospotrebnadzor, la struttura sanitaria civile a cui Putin già dal 27 gennaio aveva affidato la supervisione del contrasto all’epidemia. Prima di Bergamo, erano stati a Wuhan partecipando a una serie di incontri sotto stretta vigilanza dei funzionari di Pechino. “Alcuni dei membri della missione in Italia erano stati mandati in Cina dal ministero della Difesa – ha spiegato l’analista militare Dmitry Safonov al quotidiano Izvestia, molto vicino a Putin – ma quelli erano viaggi brevi non un’operazione ad ampio raggio come quella di Bergamo. Le loro informazioni ci permetteranno di preparare le contromisure per impedire la diffusione del Covid in Russia”. Il colonnello Igor Bogomolov, uno degli ufficiali chiave della missione, ha detto: “Stiamo acquisendo un’esperienza inestimabile, che in precedenza abbiamo ricevuto solo durante le esercitazioni. E a Bergamo la rafforziamo nella pratica”. Vladislav Shurygin, un comunicatore vicino agli ambienti ultraconservatori del Cremlino, ha spiegato ai media moscoviti: “L’invio di medici militari russi può essere considerato come una sorta di “ricognizione” affinché i nostri virologi ed epidemiologi studino la forma europea di coronavirus. Naturalmente in Italia, con un’esperienza così ampia di contrasto al contagio, sarà possibile sviluppare un modello per combattere il Covid in Russia”.

Il legame con Sputnik

Lo strumento fondamentale della spedizione in Lombardia era un laboratorio mobile di analisi batteriologica, considerato uno dei più avanzati al mondo e dotato di sistemi criptati di trasmissione satellitare: l’accesso agli italiani è sempre stato vietato. Il generale Kikot ha dichiarato: “Gli ufficiali del 48° Istituto Centrale di Ricerca hanno operato nel laboratorio mobile”. Si tratta del reparto militare che assieme all’Istituto Gamaleya di Mosca negli stessi giorni ha realizzato Sputnik, il primo vaccino contro il Covid. A Bergamo c’era il colonnello Igor Bogomolov, numero due dell’intero 48° Istituto Centrale. Vladimir Gushchin, il responsabile dello staff dell’Istituto Gamaleya incaricato di realizzare la sequenza genetica del Covid, ha dichiarato al Newyorker di avere cercato invano un campione del virus per giorni: solo il 17 marzo 2020 sono riusciti a estrarlo “da una persona contagiata a Roma e rientrata due giorni prima a Mosca”. La sequenza genetica era stata resa nota su Internet dalla Cina sin da gennaio, ma per gli studi sul vaccino servivano informazioni dirette. Una settimana dopo ben 32 tra virologi, medici e infermieri russi erano al lavoro nella terapia intensiva di Bergamo. 

Tra loro c’era Gennady Eremin, un tenente colonnello qualificato dalla stampa russa come “epidemiologo esperto di piani di prevenzione”. O i suoi colleghi Aminev, Bokarev, Kolesnikov, Shipitsyn, Usmanov: ufficiali specializzati nell’organizzare campagne militari per arginare la pandemia. A dirigere questo pool era il tenente colonnello Alexander Yumanov, “un professore con una vasta esperienza nella gestione di epidemie incluso un periodo in Guinea nell’ospedale che curava Ebola”. Anche lui faceva parte del 48° Istituto Centrale di Ricerca. Nel contingente pure il colonnello Aleksey Smirnov: “un epidemiologo esperto, autore di 70 pubblicazioni e figura fondamentale nello sviluppo di un vaccino contro Ebola”, rimasto sempre nell’ombra durante la permanenza in Italia.

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