Safer internet day, parla la direttrice della polizia postale Ciardi: “Aumentano del 77% i reati online contro i minori e le vittime sono più piccole”

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Pedopornografia, adescamento, cyberbullismo, sextortion, furto d’identità digitale, truffe online. I reati sul web in cui a essere vittime sono i minori sono aumentati del 77% nell’ultimo anno: 4208 i casi intercettati e affrontati dalla polizia postale nel 2020 contro i 2379 del 2019. Un aumento impressionante che ha riguardato soprattutto il lavoro svolto dal Cncpo, l’acronimo del Centro nazionale per il contrasto alla pedopornografia online. La produzione, la diffusione, la detenzione e la commercializzazione di immagini di violenza sessuale su minori, condivise via chat o su piattaforme, ha visto un incremento del 132% in relazione agli episodi che gli agenti hanno incontrato sullo schermo (1396 del 2019, 3243 nel 2020) e del 90% rispetto alle persone indagate (663 nel 2019, 1261 nel 2020).

Non solo. Perché a preoccupare c’è anche l’incremento di adescamenti di minori online, soprattutto i più piccoli, fino ai 9 anni. Bambini “catturati” in rete da ragazzi, adolescenti, adulti, anziani. Anche un fenomeno come quello della sextortion, l’estorsione sessuale in seguito a uno scambio di immagini sessualmente esplicite, che fino a poco tempo fa riguardava principalmente adulti o liceali, ha fatto emergere un deciso abbassamento dell’età delle vittime.

Dinamiche di violenza che assumono oggi contorni nuovi, aggravate dalla pandemia, e che sono state raccontate in una indagine statistica realizzata per l’evento digitale contro il cyberbullismo #cuoriconnessi organizzato in occasione del Safer Internet Day del 9 febbraio. Ne abbiamo parlato con la direttrice del Servizio di polizia postale e delle comunicazioni, Nunzia Ciardi.

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Dottoressa Ciardi, il cybercrime è in continua evoluzione, quali sono i reati online prevalenti oggi?

“Sono molti e differenziati. Una vera emergenza riguarda il crimine finanziario con attacchi alle infrastrutture economiche e bancarie, alle grandi aziende e alla piccole e medie imprese. Parliamo di gente esperta, hacker, che entrano nei sistemi informatici, restano all’interno per lunghi periodi, mappano il patrimonio informativo delle aziende e poi mettono in atto strategie criminali: chiedeno un riscatto per i dati cifrati e rubati, minacciano la pubblicazione di dati sensibili con un conseguente danno di immagine e commerciale per la società colpita o, ancora, cancellano tutte le informazioni mandando in blocco produttivo quelle aziende che non hanno ancora backup online”.

E per quanto riguarda gli attacchi contro le persone e i minori?

“Abbiamo a che fare con episodi di diffamazione, di stalking, di minacce, di pedopornografia, di adescamento, soprattutto sui social network. La pandemia ha avuto una valenza potentissima non solo sotto il profilo sanitario, ma ha anche agito come potentissimo acceleratore della digitalizzazione. Ha innescato fenomeni da cui non si tornerà più indietro. E da una parte la tecnologia è stata di grandissimo supporto nel mantenere i contatti affettivi, i rapporti lavorativi, lo studio; dall’altra l’allargamento della superficie digitale ha presentando enormi rischi con l’innalzamento della percentuale di crimini informatici”.

L’aumento dei reati contro i minori e l’abbassamento dell’età anagrafica delle vittime sono preoccupanti. Come mai questa escalation e questo cambiamento anagrafico?

“Sono fenomeni inquietanti, siamo molto preoccupati. L’unica consolazione, se così possiamo dire, è che anche noi siamo stati in grado di intercettare sempre più casi. Non ho mai lavorato così tanto come durante la pandemia. In particolare per quanto riguarda l’adescamento di minori online siamo passati dai 14 casi del 2018 ai 41 del 2020. Mentre l’estorsione sessuale nel 2019 riguardava due casi tra 0 e 13 anni nel 2019, ora siamo a 14 casi e 9 di questi riguardano minori di 9 anni. E parliamo solo degli episodi denunciati”.

C’è una stima del “sommerso”?

“È molto difficile averla. Possiamo dire che le segnlazioni giunte al commissariato online rispetto al periodo pre-pandemia sono aumentate del 42%, ma non si sono mai trasformate in denuncia”.

Perché non vengono denunciati questi reati?

“A volte, nei bambini, nei ragazzini, c’è la paura che i genitori possano levare smartphone e tablet, impedirne l’uso. E allora non raccontano. Altre volte sono gli adulti o gli adolescenti a minimizzare, almeno inizialmente, gli episodi perché si fa fatica a percepirne la lesività non essendo fisici. I sensi ci aiutano a visualizzare: un pugno, del sangue, dei calci. Qui invece sono violenze psicologiche, traumatiche ma meno visibili. La stessa dinamica che è alla base dei leoni da tastiera, del teppismo organizzato, del tutti contro uno, del cyberbullismo. Spesso non ci si rende conto del male che si sta facendo o che si sta subendo perché c’è l’intermediazione di uno schermo”. 

C’è una ricerca condotta da “Generazioni connesse” per la polizia di Stato su 2473 adolescenti delle scuole secondarie: più della metà sarebbe interessato a un patentino per l’uso dei social e della Rete, 1 su 4 lo vorrebbe obbligatorio. E ancora il 40% ritiene che sotto i 14 anni i social dovrebbero essere vietati e ci vorrebbero sistemi di verifica come il documento di identità, l’identità digitale certificata o un’intelligenza artificiale in grado di riconoscere gli utenti. Cosa ne pensa?

“Credo vada fatto un discorso per fasce di età: un bambino deve esser controllato adeguamente da un adulto quando ha in mano un dispositivo. Non si può lasciare abbandonato davanti a immagini scioccanti a cui non è pronto. Basta un banner che compare mentre gioca per finire su un sito pornografico. Su un motorino non manderemmo mai un ragazzino da solo a 8 anni perché ne percepiamo il pericolo. È ora di avere la stessa attenzione quando siamo sul divano. Altro discorso per i 16enni: lì ci vuole un controllo randomico, il dialogo”.

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Le vittime sono minori, ma chi commette questi reati? Ragazzini, adolescenti o adulti?

“L’adescamento avviene da parte di persone di tutte le età. Vengono adescati su chat di gioco, app, instaurano rapporti tecno-mediati, ma non è facile capire chi c’è dietro. In tanti casi si pensa di interloquire con un coetaneo e invece non è così”.

Nelle ultime settimane si sono moltiplicati anche casi di cronaca legati a presunte challenge online. Sono così diffuse queste sfide?

“Per i ragazzini le sfide danno il senso della trasgressione, della potenza e i ragazzi ne sono affascinati. E certo esistono, nella realtà fisica, come in quella virtuale. Ma dalla nostra esperienza investigativa posso dire che quasi mai ci siamo trovati di fronte a qualcuno che ciclicamente propone sfide per far cadere ragazzi. Quasi sempre, nei casi in cui si è parlato di Blue whale, Jonathan Galindo, blackout challenge, ci troviamo davanti situazioni di profondo disagio che da qualche parte deve sfociare e trova questo canale. Bambini o adolescenti che subiscono la suggestione di un’immagine e la ripropongono in maniera tragica. La pandemia non aiuta”.

Nell’ultimo anno c’è stata anche un’impennata di incursioni di hacker nazisti, razzisti, omofobi, misogini. Come si contrastano?

“Sono fenomeni nati in questo periodo in cui tutto si svolge con un’interazione tecnologica, prima erano assolutamente sporadici. Lavoriamo monitorando le fonti, i gruppi da cui possono partire questi attacchi, ma anche in questo caso è necessaria una maggiore cultura anche della sicurezza. Noi consigliamo di fare eventi controllati, con un admin che verifichi gli accessi e link diffusi privatamente, a un numero di persone garantito. Piccole cautele per ridurre i rischi”.

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