«Sono pronto ad incontrare Brunetta», dice Carlo Calenda. Ed è l’unico, nel fronte delle opposizioni, a mostrarsi entusiasta per la trovata della premier, che ha affidato al Cnel il dossier salari per arrivare entro 60 giorni «a una proposta condivisa». Tutti gli altri, nell’ex campo largo, sono come minimo freddi, per non dire critici, sulla mossa. Da Giuseppe Conte a Elly Schlein. «Brunetta poi ha già bocciato il salario minimo, non è una figura terza», attacca Riccardo Magi, segretario di +Europa. Perfino Renzi, che non è andato a Chigi, è critico: «Si riapra il Parlamento subito, altro che Cnel». Insomma, l’idea della premier è apprezzata solo da un pezzetto delle minoranze convocate l’altro ieri a Palazzo Chigi. Calenda, che rivendica l’apertura del confronto col governo, è il più dialogante. Apre ad altre modifiche chieste dalla premier rispetto alla proposta dell’opposizione, «purché resti la soglia di 9 euro l’ora». Per esempio, il leader di Azione è disposto ad allargare il salario minimo al lavoro domestico e a formulare nel dettaglio la spesa dello Stato per il fondo che dovrebbe compensare i costi per le piccole e medie imprese.
Il salario minimo evidenza anche i diversi approcci nella maggioranza. Mentre Meloni, almeno formalmente, dialoga, Salvini è sprezzante: «Il salario minimo? Più apro cantieri più non ce ne sarà bisogno. Giusto ascoltare, ma se Pd e M5S non cambiano idea tiriamo dritti». Replica Calenda: «Sento Salvini dire che il salario non si impone per legge. Per legge si tassano i margini delle imprese, si blocca la concorrenza nel settore aereo, si salvaguardano le rendite di posizione di tassisti e balneari. Però per legge non si può stabilire la soglia minima tra lavoro e sfruttamento come fanno tutti i paesi del G7. Forse per legge bisognerebbe stabilire che uno che non ha mai lavorato in vita sua fuori (e dentro) la politica non può fare il ministro».
Go to Source