Se il manager è ottimista l’azienda è più competitiva perché investe e innova

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MILANO – Parola d’ordine, ottimismo. L’atteggiamento – dati alla mano – che ha consentito alle aziende di reagire prima e meglio davanti alla drammatica emergenza sanitaria del Covid. A promuovere il “pensiero positivo” è uno studio di Mario Amore (Università Bocconi), Orsola Garofalo (Copenhagen Business School) e Victor Martin Sanchez (King’s College) che hanno passato ai raggi X la reazione di 1.632 società inglesi ai quattro mesi di lockdown nella scorsa primavera.

Nessuna realtà del campione è sfuggita allo tsunami della pandemia – il calo di fatturato medio è stato del 37% – ma i manager che hanno avuto il coraggio di guardare il futuro con “ottimismo comportamentale” sono stati «del 7% più propensi a innovare e del 5% a rivedere i propri processi organizzativi». «Due fattori che aumentano la capacità competitiva di un’azienda, influendo verosimilmente anche sui risultati di bilancio», dice Amore, professore al dipartimento di management e tecnologia dell’ateneo milanese.

Gli effetti benefici del pensiero positivo sulla salute, sulla prevenzione sanitaria e sul rischio di mortalità sono un fatto già scientificamente provato. In chiave economica, invece, esistono due scuole di pensiero. Una sostiene che vedere le cose con lenti troppo rosa riduca la capacità di recepire i segnali che arrivano dal mercato. Rischiando così di fare scelte errate. Per la seconda, invece, un atteggiamento di questo tipo aiuta ad adattarsi meglio a condizioni stressanti come quella del Covid e a studiare modalità più creative per uscirne. «I dati del nostro studio sembrano confermare che i vantaggi di essere proattivi dominano su quelli di fare scelte sbagliate», dice Amore.

La strategia anti-virus dei manager coinvolti nella ricerca ha visto nel 30% dei casi un intervento di innovazione sul prodotto o sulle strategie per provare a reagire alla crisi. Nel 25% dei casi invece chi si è mosso ha provato ad adattare l’organizzazione aziendale alla nuova situazione. Gli ottimisti sono stati comunque molto più propensi a non sedersi sullo status quo. Il 66% di chi non è stato con le mani in mano è intervenuto per adeguare la digitalizzazione della sua azienda, il 13% ha rivisto i processi produttivi e l’8% ha riorganizzato le consegne. Gran parte degli interventi sulla struttura riguardano l’utilizzo dello smart-working.

Un confronto tra i risultati economici degli “ottimisti” e quelli dei “rassegnati” non è ancora possibile. Ma nel campione interpellato, chi pensa positivo prevede un ritorno delle vendite ai livelli pre-Covid sei mesi prima rispetto agli altri e ha aspettative molto migliori sulle previsioni di crescita (in questo caso contrazione) dell’economia di Londra.

Il potere dell’ottimismo vale anche per l’Italia Spa? «Il nostro studio si è concentrato solo sulla Gran Bretagna – conclude Amore -. In Italia invece abbiamo provato a studiare l’andamento in Borsa dopo la pandemia delle aziende familiari, mettendolo a confronto con le altre. E le prime, forse perché pensano più a lungo termine, sono riuscite a performare meglio».
 

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