Se la storia di una società non è scritta solo sui muri delle prigioni

Pubblicità
Pubblicità

Ho sempre diffidato di quello che in genere viene considerato un antico proverbio cinese. Ma vitaepensiero.it precisa che sarebbe piuttosto “di discussa origine”. Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito. Devo dire che, in realtà, avverto costantemente la tentazione di osservare con la più scrupolosa attenzione proprio il dito indicante, perché potrebbe rivelare più cose di quanto si creda. E perché quel motto rivela un notevole disprezzo per dettagli e particolari, dove – ancora secondo una massima – si nasconderebbe il diavolo oppure Dio.

Dunque, quando nella mia precedente rubrica ho parlato di “paradigma del bidet”, attribuendo doverosamente il copyright all’avvocata Maria Brucale, sapevo di andare incontro a guai. La totale assenza di bidet, specialmente nelle celle delle sezioni femminili, esprime un notevole disprezzo per la salute e la dignità delle persone recluse, oltre a misurare il degrado generalizzato del sistema penitenziario nazionale. Apriti cielo: la cosa non è passata inosservata e ha scatenato numerose reazioni.

Il riferimento a quell’apparecchio igienico sembra richiamare una immagine del carcere che costituisce una sorta di ossessione paranoide per le fantasie di vendetta che si scaricano su di esso. In altre parole, la richiesta del bidet sembra connotare quel presunto “hotel a 5 stelle”, fornito di “televisione a colori” contro cui si indirizzano tutti i livori, i rancori e le pulsioni più torve del giustizialismo nazionale. Ecco un altro dettaglio interessante: se invece che “a colori”, volessimo che in ogni cella vi fosse un più severo e afflittivo apparecchio in bianco e in nero (non più prodotto in alcun paese al mondo), dovremmo aprire una nuova fabbrica di televisori destinati esclusivamente alla prigione. Ma torniamo al bidet. Tutti gli aspiranti cosmopoliti de’ noantri e i globalisti da Touring Club si sono affrettati a ricordare che il bidet “esiste solo in Italia”. E, addirittura, una lettrice residente in Francia ha voluto spiegare che “come altri 65 milioni di francesi”,  lei “non soffre di questa mancanza”.

Che dire? Tutti critici che non vogliono guardare il dito, ovvero il bidet: e, pertanto, preferiscono non sapere che, in gran parte delle celle, un uomo – e tanto più una donna, per ragioni che forse è superfluo richiamare – può trovarsi a usare lo stesso rubinetto e lo stesso limitato spazio per bere, lavarsi viso, mani e ascelle, per il bucato, per riempire d’acqua una pentola e farla bollire e, infine, per pulirsi genitali e culo. Io mi fermo qui perché, davvero, mi mancano gli argomenti; davvero, se ciò che ho scritto non viene inteso è certamente colpa mia, ma non ho che da arrendermi; davvero, non penso di poter ricorrere a ulteriori motivazioni razionali, se finora non sono riuscito a trasmettere il senso di quella situazione.

Anche per questa ragione è quanto mai preziosa l’attività, così spesso ignorata e denigrata, di quelle migliaia di volontari che operano in carcere, silenziosamente e faticosamente. Non perché sono “buoni”, ma perché hanno un profondo spirito civico e sanno che offrire ai detenuti una opportunità significa offrirla a tutti noi. Penso al lavoro che fanno da decenni associazioni come Ristretti Orizzonti di Ornella Favero e Francesco Morelli, Antigone di Susanna Marietti e Patrizio Gonnella, A Buon Diritto di Valentina Calderone e Federica Graziani, L’altro Diritto di Emilio Santoro e Sofia Ciuffoletti, A Roma insieme di Leda Colombini e Giovanna Longo e numerosi gruppi e comitati locali. E preti, suore, militanti politici, avvocati, filosofi e sociologi, tutti convinti che “la storia di una società è scritta sui muri delle prigioni”.

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *