Sean Penn, a Cannes le vite al limite dei paramedici: “Aiutano gli altri ma finiscono in trappola”

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Black flies è il racconto della vita estrema dei paramedici sulle ambulanze che rispondono alle chiamate di emergenza a New York. Diretto dal regista francese, ma da anni di stanza negli Stati Uniti, Jean-Stéphane Sauvaire, il film è una storia di finzione raccontata con uno sguardo documentaristico con protagonisti un giovane paramedico appena arrivato nell’ambiente Ollie Cross (Tye Sheridan) e un esperto che ne ha viste tante (Sean Penn). Tratto dal romanzo di Shannon Burke, il film è stato girato in 23 giorni molto di notte ma ha avuto una lunga gestazione, 5 anni di preparazione.

“Mi interessava raccontare la città e la sua gente, sono stato intrigato dal romanzo – spiega Jean-Stéphane Sauvaire – Il mio cinema è sempre stato un mix tra documentario e finzione, tranne protagonisti i personaggi sono tutti attori non professionisti, ho girato le scene più difficili nel mio appartamento. Mi interessa il lavoro sul corpo, perché il corpo attraverso le sue ferite racconta una storia, ho girato molto nel mio quartiere dove tutti mi conoscono e hanno collaborato. Il film è raccontato attraverso lo sguardo di Cross, la storia è l’iniziazione di questo ragazzo alla vita”.

Per anni gli attori, oltre che Penn e Sheridan anche un bravo Michael Pitt (il regista: “Volevo che il pubblico lo vedesse sotto un’altra prospettiva, quella di un angelo caduto, un po’ diabolico”), il training è stato molto importante. Per mesi sono stati sulle autombulanze di New York per apprendere i gesti le procedure, il ritmo dell’intervento. “Se succede qualcosa ormai non chiamiamo il 911 ma direttamente Sean e Tye – ha scherzato il regista – anche qui a Cannes se c’è un’emergenza potete far loro un colpo di telefono. In realtà sono stato molto impressionato da quanto siano stati bravi ad apprendere le tecniche, non potevamo fare molti trucchetti dovevano recitare e sono stati proprio bravi a gestire il set e ad essere totalmente credibili. Per me è molto importante che il personaggio sia connesso all’attore, sapevo che Sean era stato a Haiti quando c’è stato il terremoto e ha lavorato sul campo molto anche a Los Angeles quindi aveva la sua esperienza”.

Il regista con Sean Penn e Tye Sheridan

La comunità di paramedici e responsabili sono stati molto collaborativi con la produzione. “Il film si confronta con il tema della salute mentale – ha detto Tye Sheridan –  abbiamo tenuto tanti incontri con i paramedici, siamo stati fianco a fianco per mesi, ci hanno raccontato che fanno due o tre turni per mettersi da parte dei soldi, portano molta responsabilità sulle spalle. Non c’è abbastanza enfasi sul loro lavoro”. “Il film è un trattato sul tema della comunità e sanità mentale, dopo l’11 settembre il problema è emerso in modo devastante – gli fa eco il regista – Da quel momento hanno dovuto mettere psicologi a sostegno, perché tutta quella violenza e sofferenza per loro è molto difficile da gestire, c’è un alto numero di suicidi. Non è un lavoro come un altro quando hai qualcuno che muore sulla tua ambulanza”. Molti dei casi che vengono raccontati nel film, da persone ferite da armi da fuoco a infarti, da overdose a parti traumatici vengono direttamente da esperienze vere fatte sul campo.

“Abbiamo lavorato tanto e abbiamo coreografato la danza che Stephane voleva da noi – dice Penn – Queste persone lavorano in prima linea, per la maggior parte con il desiderio di servire, di aiutare gli altri e poi scoprono che sono assediati, ma le politiche a breve termine li portano a essere lì per sostenere un racket. Questo film, spero, possa contribuire a questo tipo di dibattito. Speriamo tutti che accada perché i paramedici che sono veramente i salvatori di tante vite umane vengono abbandonati a se stessi. L’avidità è alla base del sistema sanitario in America, basta raccogliere dei corpi e portarti nelle maglie dell’assicurazione. Il denaro passa di mano a tutti tranne a coloro che vengono sfruttati”. 

Michael Pitt

A raccontare il tipo di esperienza immersiva che il regista ha chiesto loro è anche Michael Pitt (The dreamers, Funny games) che nel film interpreta un altro paramedico piuttosto cinico con cui il personaggio di Sheridan finisce per scontrarsi. “La prima esperienza è stata tutta una notte in ambulanza, dalle 7 di sera alle 7 del mattino nel quartiere dove vivo, che è lo stesso di Stephane, la prima chiamata è stata per infarto, uno dei casi peggiori. Siamo arrivati e l’uomo era sdraiato a terra, morto. Sono riusciti a rifarlo tornare in vita e gli parlavano: ‘non siamo poliziotti, ti abbiamo riportato dalla morte, siamo qui per aiutarti’ e lui ha cominciato ad urlare ‘andatevene da casa mia’ e cose molto peggiori. A loro succede tutti i giorni: salvano la gente e la gente gli urla contro, nessuno può fare quel lavoro e non avere un disordine post traumatico. I paramedici con cui abbiamo lavorato passavano il tempo vedendo video terribili di persone ferite e facevano battute tremende, ciniche, era il loro modo per non crollare nel momento della catastrofe. Dovevano diventare insensibili per riuscire ad agire nel momento più difficile”. Nel film uno di loro racconta questa barzelletta: “Un pedofilo e una bambina camminano in un bosco, lei dice ‘ho paura, qui è tutto buio’ e lui risponde ‘pensa a me, che dovrò tornare da solo'”. Questo è il livello di cinismo che i paramedici di New York raggiungono per anestetizzare il dolore.

Alla domanda sullo sciopero degli sceneggiatori, Sean Penn ha replicato in conferenza stampa: “L’industria si prende gioco di sceneggiatori e attori che sostengo pienamente. L’uso dell’intelligenza artificiale è qualcosa di molto importante, da valutare, e l’associazione dei produttori dovrebbe chiamarsi piuttosto associazione dei banchieri. Troppi di loro non lavorano come si dovrebbe”.

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