In parte escluse dalla ricerca scientifica e penalizzate da pregiudizi culturali, così ogni anno migliaia di bambine nello spettro non sono individuate. Disturbi alimentari, violenze e terapie sbagliate sono solo alcune delle possibili conseguenze di questo ritardo. Il racconto di chi l’ha vissuto
Nell’immaginario collettivo esistono solo due versioni di una persona autistica. Può essere un bambino – maschio – con l’ossessione dei treni: ci gioca tutto il giorno e parla, se parla, solo di quelli. Oppure un giovane adulto, un matematico o uno scienziato geniale – e ancora maschio – che conosce a memoria ogni formula, ogni elemento, ma non capisce il sarcasmo e va in crisi per ogni piccolo cambiamento nella routine.
E le femmine? Spesso dimentichiamo la loro esistenza. Del resto, ancora oggi, le principali statistiche (non quelle più aggiornate) continuano a indicarle come una minoranza: in Italia i bambini che ricevono una diagnosi sono oltre quattro volte più delle coetanee. E le femmine? Spesso dimentichiamo la loro esistenza. Del resto, ancora oggi, le principali statistiche (non quelle più aggiornate) continuano a indicarle come una minoranza: in Italia i bambini che ricevono una diagnosi sono oltre quattro volte più delle coetanee. Bambine che poi crescono in un ambiente non adeguato alle loro esigenze, e per questo, faticano sempre di più a mantenere il passo con le richieste complesse della società e spesso vengono diagnosticate con patologie che non hanno o sono solo co-occorrenze dell’autismo o della neurodiversità, come disturbi d’ansia, depressione o disturbi dell’alimentazione.
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