Settecento slogan dalle scuole per dare un computer a tutti

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“Proibiresti mai a un ragazzo di entrare in classe perché non può permettersi di comprare i libri?”. È la frase di uno studente, il suo slogan per la campagna “Digitali e Uguali”, e lascia di stucco: una sintesi quasi perfetta del digital divide. Tradotta: perché invece si accetta che una parte degli studenti abbia difficoltà a seguire le lezioni (“ad entrare in classe”) non potendo disporre di un computer?

Di frasi così ne sono arrivate quasi settecento in poche settimane, sul sito di Repubblica@Scuola, per rispondere a una sollecitazione: inventate, proprio voi ragazze e ragazzi, gli slogan per una campagna sui social che sostenga la raccolta fondi per dare agli studenti che non possono i computer di cui hanno bisogno. Slogan che sono diventati appunto uno dei “traini” della campagna “Digitali e Uguali”, l’iniziativa – che ieri ha preso il via – promossa dal gruppo editoriale Gedi (di cui fa parte Repubblica) e da Yoox, in collaborazione con Fondazione Golinelli e Fondazione Specchio d’Italia Onlus.

Un appello alle aziende e ai cittadini per “contribuire ad abbattere finalmente le barriere che impediscono agli studenti italiani di crescere ed affermarsi e per portare il Paese in una posizione di forza in Europa nel grado di digitalizzazione”, scrivono i promotori ricordando che il digital divide in Italia contribuisce a posizionare il nostro Paese al venticinquesimo posto su ventisei paesi membri della Ue per competitività e sviluppo tecnologico.

Attraverso la piattaforma www.digitalieuguali.it, tutti coloro che condividono questa responsabilità verso il futuro delle prossime generazioni, potranno offrire il loro sostegno. Le donazioni raccolte serviranno all’acquisto di pc da distribuire agli studenti italiani tramite le scuole statali e paritarie del territorio nazionale che ne avranno fatto richiesta sul sito. Non è certo “la soluzione”, ma una spinta forte perché si arrivi alla soluzione di uno dei grandi problemi italiani troppo spesso ignorati. Si chiama, appunto, “digital divide” e si può leggere come arretratezza di un Paese, mancanza di opportunità soprattutto per i più giovani che la vivono come imbarazzo e senso di esclusione.

Seguendo ancora la lunga teoria degli “slogan pubblicitari” arrivati a Repubblica, si può anche dire così: “Molte volte per vergogna si mente per non dire “non mi posso permettere un computer”, ma dentro solo noi sappiamo come ci sentiamo”. Si sentono male. Nella sua sintesi, questa frase-confessione finisce per raccontare bene e “dall’interno” il grande disagio e le terribili diseguaglianze emersi con la didattica a distanza. Perché proprio questo anno di vita sotto la cappa del virus ha fatto esplodere il problema. Facciamolo dire ad altri slogan: “Durante la pandemia ci siamo resi conto che il computer è l’unico strumento che ci ha permesso di comunicare, studiare, interagire”. Dal momento che “Se si è connessi si è uniti anche se distanti”. E le sensazioni di “essere a scuola da casa”, si possono tradure così: “Un computer per ogni studente evitando un insegnamento scadente”, “Supportiamo i dimenticati dalla distanza”, “Se acquisti un computer quest’anno, i più bei voti torneranno.

Con un computer su ogni fronte, eviterai di vivere sotto un ponte”. Fino al racconto ironico di come si vive il digital divide: “Prof non la vedo, prof non la sento. Ma lei mi vede? Ma lei mi sente? Come faccio adesso, risulterò assente! Risolverai il tuo problema con un buon computer”. Insomma, dalle scuole gli studenti hanno raccontato e mostrato di appoggiare questa campagna che li riguarda in prima persona. “L’inizio della nuova era è giunto! Vieni a prendere un computer per mettere alla tua vita un punto!”. Oppure: “Comprami un computer e rivoluzionerò il futuro”. Adesso tocca ai “grandi”.

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