Siete anemici? Il cuore è a rischio

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Se vi sentite sempre stanchi, se vedete che i capelli non sono robusti, se una breve corsa vi crea il fiatone, fate un prelievo di sangue per valutare se siete anemici. E ricordate che questo quadro può essere spesso correlato ad un deficit di ferro, fondamentale per la formazione della molecola dell’emoglobina che all’interno dei globuli rossi lega l’ossigeno. Così facendo, prendendo le opportune contromisure assieme al medico se i livelli del ferro sono bassi, potreste proteggere anche la salute del cuore.

Secondo una ricerca tedesca pubblicata su Esc Heart Failure, rivista della Società Europea di Cardiologia (Esc), quasi un caso su dieci di patologia delle coronarie con le relative conseguenze (ad esempio un infarto) nei dieci anni successivi alla prima rilevazione (quindi tra i 60 e i 70 anni) potrebbe essere associato a questa condizione.

Lo studio, che non rivela un chiaro rapporto causa-effetto tra deficit di ferro e patologie cardiovascolari ma soltanto riporta l’associazione tra le due situazioni, è stato condotto da Benedikt Schrage dell’Università di Amburgo, nell’ambito di un filone di ricerca che vede proprio nel deficit di ferro un elemento di grande interesse.

Basti pensare che altre ricerche hanno dimostrato ad esempio che in chi soffre di scompenso cardiaco la carenza di ferro è risultata collegata a esiti peggiori, inclusi ricoveri e morte. E d’altro canto, una ricerca ha dimostrato che trattando con ferro somministrato per via venosa i pazienti con scompenso e carenza del minerale si può migliorare la capacità funzionale e la qualità della vita nei malati.

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Nella ricerca tedesca l’attenzione si è concentrata sulla popolazione generale, sana al momento dell’inserimento nello studio. Sono state considerate più di 12150 persone, età media 59 anni, per il 55% di sesso femminile, prendendo in esame anche la presenza di eventuali fattori di rischio cardiovascolari come diabete o colesterolo elevato.

La carenza di ferro è stata considerata in termini “assoluti”, ovvero considerando quello depositato, e in base al deficit di ferro “funzionale” che oltre al primo prende in esame anche quello che circola nel sangue. Questo dato, a detta dei ricercatori, risulta più accurato per capire l’impatto dell’eventuale deficit sull’organismo.

Per capire il possibile “peso” di questo fattore e dell’anemia non riconosciuta, basti ricordare che sei persone su dieci al momento dell’inserimento nella ricerca presentavano una carenza di ferro assoluta e il 64% una carenza di ferro funzionale.

Tutte le persone seguite sono state monitorate mediamente per oltre 13 anni e nel periodo di osservazione il 4,7% dei soggetti è deceduto per patologie cardiovascolari. Inoltre si sono osservati casi di patologia delle arterie coronariche nell’8,5% dei soggetti e di ictus nel 6,3% della popolazione in esame.

La carenza di ferro funzionale è risultata associata a un rischio più elevato del 24% di malattia coronarica, ad un rischio aumentato del 26% di mortalità cardiovascolare e del 12% di mortalità per tutte le cause rispetto all’assenza di carenza di ferro funzionale.

Secondo i calcoli degli scienziati, considerando la presenza dei classici fattori di rischio per cuore ed arterie, in dieci anni il 5,4% di tutti i decessi, l’11,7% di morti legate a malattie cardiovascolari e il 10,7% delle nuove diagnosi di malattie coronariche potevano essere attribuite al deficit funzionale di ferro.

Ovviamente la ricerca sul tema è solo all’inizio, anche perché come detto non sono stati ipotizzati i meccanismi che potrebbero entrare in gioco in questa situazione. Ma si punta a procedere con una ricerca randomizzata che possa valutare in futuro se e quanto l’eventuale trattamento specifico per il deficit di ferro potrebbe avere un impatto sulla comparsa di malattie cardiovascolari.

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