Sla, prima cura per i pazienti con un gene mutato

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Scoperta la prima cura della Sla per i pazienti con specifiche mutazioni genetiche. Sono stati pubblicati oggi sul New England Journal of Medicine i risultati dello studio internazionale sul Tofersen, che ha dimostrato un rallentamento ed in alcuni casi addirittura un’inversione della progressione clinica della Sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Il trattamento è efficace nelle persone portatrici della mutazione nel gene SOD1. Si tratta di un risultato clinico straordinario, mai osservato precedentemente nel trattamento della Sla.

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La Sla è una malattia neurodegenerativa e riduce l’aspettativa di vita, causando anche una graduale e progressiva disabilità motoria. L’effetto positivo del farmaco si manifesta in modo netto nel corso del primo anno di trattamento e successivamente persiste nel tempo.
Il professor Adriano Chiò (Direttore del Centro regionale Esperto per la Sla dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino e facente parte del Dipartimento di Neuroscienze ‘Rita Levi Montalcini’ dell’Università di Torino) afferma la straordinaria importanza di questo risultato. Il Centro di Torino è stato l’unico in Italia e uno dei pochi nel mondo ad essere stato coinvolto direttamente nella conduzione della sperimentazione contribuendo con il maggior numero di pazienti rapidi nel mondo.

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Il Tofersen è un oligonucleotide antisenso (Aso) che agisce selettivamente sull’RNA messaggero, bloccando la sintesi della proteina alterata. La terapia viene somministrata mediante puntura lombare, e tale metodica è molto ben tollerata. Lo studio sperimentale ha coinvolto 108 individui affetti da Sla con mutazione nel gene SOD1 divisi in pazienti a rapida e lenta progressione ed ha avuto due fasi una prima di 6 mesi ed una seconda di estensione dello studio tuttora in corso. Rilevante è la significativa riduzione della proteina SOD1 e dei neurofilamenti nei casi sottoposti a questa terapia innovativa.

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Gli operatori del Centro Sla di Torino ringraziano le persone con SLA e i loro parenti che hanno partecipato allo studio e la Città della Salute di Torino per aver supportato questa fondamentale ricerca autorizzando i reclutamenti ed il proseguimento dello studio anche durante il periodo di lockdown per la pandemia Covid.

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