“Sono un uomo felice, voglio bene a tutti e questo affetto mi viene restituito”: così Fausto Gresini si raccontava in un’intervista mai uscita

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IMOLA. “Perché io non ne ho mai abbastanza, della vita!”. Parole di Fausto Gresini in una intervista di quest’inverno, mai pubblicata. Poco prima che gli venisse quella strana tosse, e poi la febbre, il ricovero all’ospedale di Imola alla vigilia di Natale, poi il trasferimento a Bologna. “Tutto gira intorno alla mia  passione. Per le moto, le gare. Per l’amicizia. Ce l’ho avuta sempre, fin da bambino. La cosa incredibile è che questa passione continuo ad averla. Anzi, di più”.

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Pilota, manager: un campione. “In sella alla moto credo di aver fatto delle cose belle. O no?”, se la rideva. Due titoli mondiali in 125 cc. “E poi è arrivato un momento fondamentale, delicatissimo: ho dovuto scegliere se diventare un vecchio pilota, o un giovane manager. Ancora una volta è stata la passione, a decidere”. Un giovane manager. “Intorno al ’97, eravamo 5 o 6 persone: con Fabrizio Cecchini, che mi ha seguito per tutta la carriera. Chi l’avrebbe detto, che alla fine avrei messo su un’azienda da 20 milioni di fatturato, con 70 dipendenti e 11 piloti?”. Il segreto – spiegava – è stato nel dare tutto sé stesso: senza paura, con la generosità che nel paddock gli hanno sempre riconosciuto. “Reinvestire i miei guadagni nel mio mondo: le moto. È stata la cosa giusta e un grande valore aggiunto, quando sono arrivati i risultati”. Ma non solo. “Ho sempre voluto pensare un po’ in grande: MotoGP, Moto2 e Moto3, la MotoE. Per essere appetibile, perché la gente ti cerchi, devi farti trovare dovunque: pronto. E riuscire a continuare a fare le gare, restare in pista, coinvolgere nel tuo progetto tanti amici, rendere anche loro felici, creare delle sinergie: è una soddisfazione incredibile, cosa si può volere di più?”.

Geniale, instancabile. “Se non ho un problema, me lo vado comunque a cercare: mi ci butto dentro. Non mi sono mai tirato indietro, io”. Una storia personale bellissima: “Quattro figli, due maschi e due femmine: e dalla stessa moglie, attenzione. Roba da premio Nobel”, scherzava. “Quanti viaggi, avventure, persone incontrate: ho sempre voluto bene a tutti, e credo che questo affetto la gente me lo restituisca tutti i giorni, ogni momento. Sono un uomo contento”. La modestia, la semplicità dei migliori. “Mia madre lavorava in una segheria, mio padre guidava le ruspe. A 13 o 14 anni ho capito che dovevo imparare un mestiere, sono andato in officina. Meccanico. Però appena c’era un attimo libero, correvo ai bordi del circuito di Imola: guardavo gli altri correre, e sognavo”. Cosa? “Di poter esserci un giorno anche io, e arrivare ultimo. Sì, ultimo al traguardo: ma in pista, come un pilota vero”.

Ha cominciato a correre da ragazzino. “Quanti sacrifici. I miei coetanei andavano la sera a divertirsi, io invece restavo in officina a preparare la moto. Le prime gare, però non avevo una lira in tasca. Così, il sabato pomeriggio, io e quello che mi dava il lavoro ci scambiavamo i ruoli: era lui, a fare il meccanico. Si chiamava Obici Remo”. Quando gli chiedevi quali fossero i successi più importanti della carriera, lasciava da parte i due mondiali vinti in sella. E ricordava quelli da imprenditore. “Un titolo se lo ricordano pochi: Dani Pedrosa con la 250. Poi con Daijiro Kato. Il primo mondiale di Moto3 con Jorge Martin, il primo di MotoE con ferrari. E con Toni Elies, in Moto2, nel 2010. Siamo sempre stati bravi, con le novità. Poi 3 volte secondi e 14 corse in MotoGp, per 18 anni con Honda e il grande cambio con Aprilia”. È stata una vita piena di successi. “Per mia madre è stata una soddisfazione: mi ha sempre adorato. Io ho due sorelle, sono l’unico maschio: il suo cocco”. Fausto Gresini, 60 anni, di Imola. “La mia città: è qui che sono nato ed è qui che morirò, è l’unica certezza che ho. Il mio paradiso”. 

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