Era una delle poche pagine di storia rimaste da scrivere nel grande album dello sport statunitense, per centrare l’impresa è servita la mano sapiente di una leggenda come Karch Kiraly. Il trionfo degli Stati Uniti al femminile nel torneo olimpico, con una medaglia d’oro che non era mai arrivata e che ora è al collo delle ragazze a stelle e strisce, è anche e soprattutto quello di un architetto sagace e paziente, al suo quarto oro olimpico dopo i due da giocatore (1984, 1988) e il terzo nel beach volley (1996).
Una leggenda del volley
Il coach della nazionale statunitense, eletto giocatore del secolo scorso insieme al nostro Lorenzo Bernardi e icona di Ravenna nel primo biennio degli anni ’90, quando salì sul tetto d’Europa e del mondo con la formazione ravennate, è diventato ormai un simbolo della pallavolo mondiale. Ritiratosi a 32 anni dal volley indoor per darsi anima e corpo al beach, ha preso le redini della nazionale statunitense femminile nel 2012, con l’obiettivo di portarla sul tetto del mondo. Un traguardo centrato nel 2014 a Milano, aggiudicandosi poi l’oro nel World Grand Prix. Mancava l’acuto finale, quello olimpico. Il figlio di Laszlo, che fu nazionale magiaro di pallavolo, ci è riuscito al secondo tentativo, dopo l’eliminazione in semifinale del 2016 a Rio (gli Stati Uniti furono poi bronzo). Il 3-0 inflitto al Brasile nella finale di Tokyo da Larson e compagne è il coronamento di un progetto di respiro molto ampio. L’ennesimo capolavoro della carriera di Kiraly.