La storia si ripete: sugli stessi binari dove hanno trovato la morte cinque operai la notte del 31 agosto a Brandizzo, 67 anni fa, il 29 marzo 1956, un analogo incidente uccise due lavoratori intenti a lavorare sulle tracce. La sinistra coincidenza vuole che le vittime del 2023 lavorassero di fatto per l’azienda che è sorta dalla cooperativa in cui erano impiegati i lavoratori uccisi nel 1956.
La circostanza è stata ricordata oggi dal sindaco di Borgo Vercelli, Marco Demagistri. Le vittime di allora si chiamavano Luigi Beretta di 36 anni ed Evasio Innocenti di 35 anni. Un’automotrice, che non aveva avuto il segnale di stop, piombò all’improvviso su alcuni operai che stavano facendo dei lavori per rinforzare le traversine delle linee ferroviarie. Alcuni colleghi riuscirono a salvarsi.
La lettura della cronaca dell’epoca de La Stampa colpisce per quanto la dinamica del 1956 fosse simile a quella del 2023. Un analogo incidente avvenne sempre a Brandizzo nel 1952, uccidendo altre quattro persone: “Entrambi nati e residenti a Borgo Vercelli, avevano cominciato fin da ragazzi a lavorare nella Cooperativa Operaia del loro paese che da oltre un trentennio ottiene regolarmente appalti dalle Ferrovie dello Stato per riparazioni, opere di sterro e cosi via. A Borgo Vercelli decine di famiglie vivono su questo riachioso lavoro; è una specie di duro destina che tocca ai più poveri e viene tramandato ormai da padre in figlio. Il padre di Evasio Innocente, una delle vittime di ieri, già è morto nel 1936 nella stazione di Novara sotto le ruote d’una locomotiva e l’altra vittima Luigi Beretta – aveva per compagni di lavoro tre congiunti: 11 fratello maggiore Giuseppe di 43 anni, lo zio Gaspare di 53 ed il cognato Evasio Brusa di 54. Questi suoi tre congiunti ne hanno ieri composto le spoglie e sono rimasti accanto alla salma sin quando non è giunto il feretro portato a spalla attraverso i campi. Soltanto allora si sono allontanati a capo chino lungo la massicciata della ferrovia”.
Prosegue la cronaca dell’epoca: “La disgrazia è avvenuta alle 12,55, poco dopo la sosta per la colazione. Il Beretta e l’Innocente erano in coppia e dovevano cambiare due traversine in corrispondenza di una stradicclola che conduce alla cascina Bologna: esattamente al chilometro 20,8 da Torino. Erano chini sulla perforatrice e si trovavano quasi In coda d’una quarantina di operai dislocati lungo la strada ferrata per un tratto di oltre 300 metri, quando sopraggiungeva alla velocità di 110/120 chilometri il convoglio AT623 composto da due automotrici agganciate. Come misura di sicurezza, quando si compiono lavori del genere, viene collocato di guardia uri trombettiere il quale, all’arrivo di ogni treno, dà l’allarme perché la linea venga sgombrata. Ma questo suono, emesso da una comune cornetta da ferroviere, giunge debole e roco a chi – come ieri il Beretta e l’Innocente – si trova ad una certa distanza. Quanti si trovavano più vicini al Beretta e all’Innocente, e cioè ad una ventina di metri da essi, si resero conto che i due non avevano udito il segnale quando era ormai troppo tardi. Il capo-squadra Ercole Torazza di 40 anni, pure da Borgo Vercelli, ancora cercò in un disperato tentativo di evitare la sciagura correndo addirittura verso l’automotrice e sventolando il berretto. Era troppo tardi: il Torazza dovette lanciarsi nel prato per non essere travolto mentre già il convoglio irrompeva implacabile. Tutti gridavano a squarciagola ma il rumore del treno soverchiava ogni voce. Il Beretta e l’Innocente, presi dal lavoro ed assordati dallo stesso motore della perforatrice, sino all’ultimo non si avvidero del pericolo. Soltanto il Beretta, un attimo prima di venire urtato si rialzo e cercò di compiere un balzo. Fu colpito di sbieco e lanciato lungo la massicciata, morto sul colpo. L’Innocente venne travolto. Quando le automotrici si arrestarono quasi all’altezza della stazione di Brandizzo e tutti accorsero sgomenti lungo i binari, il suo corpo non venne ritrovato: qua e là vi era qualche traccia, una chiazza di sangue, una gamba sfracellate, una mano”.
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