Strage di Brandizzo, quattro secondi per morire: “La curva, poi un lampo. Era impossibile salvarsi”

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Un faro di luce sulla mezza curva. Il treno che si palesa, sfrecciando da Chivasso, nel punto della svolta che precede il rettilineo dove inizia la stazione. Sarebbero passati soltanto quattro secondi, la notte del 30 agosto, dall’istante in cui il treno merci compare all’orizzonte al momento in cui travolge i cinque operai. Loro erano di spalle. Non lo hanno visto né sentito. Uno dei due superstiti — il caposquadra Andrea Gibin — investito dal faro di luce e dal vortice d’aria, si è salvato tuffandosi di lato. In quattro secondi, forse uno di più.

Cinque giorni dopo la strage, gli agenti della Polfer — che indagano coordinati dalla procura di Ivrea — hanno raccolto una mole di materiale. Ci sono le immagini delle telecamere in cui si vedono le vittime al lavoro e le registrazioni delle telefonate tra i tecnici di Rfi che confermano che stavano operando nonostante non ci fosse alcuna autorizzazione. Elementi di prova che sono stati sufficienti per iscrivere sul registro degli indagati Antonio Massa, il tecnico col ruolo di “scorta” di Rfi e lo stesso Gibin.

Continuano anche le verifiche della Polfer utili a ricostruire l’impatto fatale in ogni dettaglio. Nei giorni scorsi, sul luogo del disastro, è stato stimato che, dal punto del binario in cui si trovavano i cinque operai (che erano nel mezzo) a quello in cui il treno si è intravisto sarebbero passati circa quattro secondi. Una stima che tiene conto della velocità del convoglio e della distanza. Molto probabilmente, anche se Kevin Laganà, Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo, Giuseppe Aversa e Saverio Giuseppe Lombardo avessero sentito arrivare il treno da dietro le loro spalle, non ci sarebbe stato il tempo per voltarsi e scappare.

La tragedia era inevitabile. Non solo non hanno visto il faro di luce squarciare il buio, probabilmente non lo hanno neppure udito. «Se stai al centro del binario non si sente rumore, cosa diversa è se si è posizionati di lato», racconta un tecnico delle ferrovie.

Intanto, la polizia giudiziaria e i pm coordinati dalla procuratrice Gabriella Viglione, si preparano, a partire da oggi, a sentire altri testimoni. Uno dei punti dell’indagine riguarda la presunta prassi (soltanto presunta, per la procura) di iniziare i lavori in anticipo rispetto all’arrivo dell’autorizzazione scritta. Tra quelli che verranno sentiti come persona informate sui fatti, ci sono i lavoratori (ed ex) della Sigifer. Gli ex colleghi delle vittime che bene conoscono i meccanismi del sistema di chi ogni sera, dopo le 23, e prima delle quattro, fa manutenzione.

Non solo. La procura ha dato anche ordine alla pg di verificare, in generale, tutte le procedure di sicurezza e i sistemi di protezione della linea ferroviaria. Pare certo che quella notte non abbia funzionato il cosiddetto “circuito di binario”. Il sistema prevede che scatti l’allarme quando qualcuno si trova sopra alla rotaia, innescando la segnalazione che provoca il rallentamento o lo stop del treno. La notte del 30 agosto non è accaduto nulla di tutto questo. C’era un guasto? Oppure era normale che il circuito non si attivasse? Si verifica anche l’ipotesi che gli operai, smontando pezzi dei binari, avessero disattivato qualcosa, per potere eseguire le operazioni previste.

Non hanno sbagliato niente, i cinque tecnici. Erano preparati e stimati. Hanno eseguito gli ordini. «Il via libera c’era», ha detto, sotto choc, Andrea Gibin, il caposquadra. Alla Sigifer nessuno parla. L’indagine è in corso. Nei giorni scorsi, durante una riunione in azienda, i vertici hanno espresso «dolore» per la perdita di cinque lavoratori. E avrebbero detto: «Se sarà colpa nostra pagheremo noi. Ma la colpa non è nostra, c’era l’ok di Rfi».

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