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Strategia zero-Covid in Cina, prime ammissioni delle autorità sanitarie: “Applicazione troppo zelante”

PECHINO – Dalle autorità arriva un primo, vago, riconoscimento pubblico che negli ultimi giorni qualcosa in Cina è successo. Nella consueta conferenza stampa settimanale sulle misure anti-Covid (appuntamento quello di oggi particolarmente atteso) Cheng Youquan, funzionario della Commissione per il controllo e la prevenzione delle malattie, spiega che le “lamentele” riguardo alle restrizioni non sono dovute alle misure in sé ma “derivano da una loro applicazione troppo zelante” specialmente se attuate con un approccio unico, generale, che non tiene conto delle diverse situazioni. Un po’ scontato ma è già qualcosa. “La Cina si muoverà rapidamente per risolvere le difficoltà sulle quali i cittadini hanno richiamato l’attenzione”, promette. “La politica zero-Covid verrà costantemente perfezionata per ridurre il suo impatto sulla società e sull’economia”. 

Pechino prova a smorzare la tensione. E dichiara, nuovamente, di voler rafforzare la campagna di vaccinazione tra gli anziani: aumentare la percentuale, soprattutto tra gli over 80, è infatti uno dei punti cruciali per provare a riaprire il Paese. I vaccini non saranno obbligatori, ma coloro che si rifiuteranno dovranno fornire una motivazione valida.

Dopo alcuni piccoli allentamenti per ottimizzare la strategia zero-Covid annunciati ieri, oggi la città di Canton ha deciso che i contatti stretti di positivi – se soddisfano alcuni requisiti – potranno fare la quarantena a casa e non verranno spediti nei centri di isolamento centralizzato.

Piccoli segnali di un potenziale compromesso che coincidono però con una censura su larga scala e con il timore che sia in arrivo un giro di vite più duro.

Per prevenire nuove proteste in strada, da ieri sera a Pechino, Shanghai e in altre città c’è un massiccio dispiegamento delle forze dell’ordine nei luoghi più sensibili. Complice pure il gelo (-6 gradi) nella capitale al momento la situazione è calma. Ma la polizia sta cominciando a rintracciare i manifestanti dei giorni scorsi, grazie ai dati dei telefoni cellulari, comprese le app anti-Covid, e analizzando gli account sui social. Due ragazzi hanno raccontato all’agenzia Reuters di aver ricevuto delle telefonate da parte di persone identificatesi come poliziotti che hanno chiesto loro di presentarsi oggi in commissariato per fornire un resoconto scritto delle loro attività di domenica notte, quando nella zona del fiume Liangma era andata in scena la protesta dei fogli bianchi contro i lockdown. “Al telefono mi hanno chiesto quante persone c’erano, a che ora sono andata lì, come l’ho saputo”, racconta una ragazza, anonimamente, alla France Presse. “La polizia mi ha ribadito che la protesta dell’altra sera era un’assemblea illegale e che se avessi avuto delle richieste avrei potuto presentarle attraverso i canali ufficiali”. Stesse telefonate le hanno ricevute anche altri quattro suoi amici che erano con lei domenica sera. 

Ieri sera sia a Pechino che a Shanghai la polizia controllava gli smartphone dei passanti per vedere se ci fossero app come Telegram, Twitter o Instagram utilizzate per condividere gli aggiornamenti delle proteste al di fuori della Grande Muraglia Digitale cinese. Arresti ci sono stati a Shanghai e ad Hangzhou.

Come Repubblica aveva anticipato due giorni fa grazie alla testimonianza della studentessa italiana della Tsinghua, alcune università a Pechino e in altre città stanno mandando a casa gli studenti che non vogliono più stare rinchiusi nei campus. Ufficialmente per proteggerli dal Covid, ma disperderli in città lontane riduce soprattutto la probabilità di nuove manifestazioni.



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