È il giorno della finale dell’alto, è il giorno di Gianmarco Tamberi. L’altro “gemello”, protagonista con Marcell Jacobs dell’abbraccio che a Tokyo fotografò uno dei momenti più alti dello sport italiano. Appena consacrato campione olimpico dell’alto, “Gimbo” si ritrovò tra le braccia Marcell sullo slancio dei 100 metri consumati in 9’’80. Una coincidenza scritta nelle stelle.
Gianmarco Tamberi dopo la qualificazione alla finale
(afp)
Due anni dopo, i due sono separati al Mondiale. Non solo dal calendario, che ha posizionato le finali a due giorni di distanza, con i 100 domenica e l’alto martedì (19.55 Rai 2 e RaiSport, Sky Sport Action). A dividere i due è stato anche l’avvicinamento a Budapest. Faticoso, privo di gare (una sola, a Parigi) e pieno di dolori per Marcell, una condizione che ha fatto apparire come un segno di rinascita il 10.05 con cui è stato eliminato in semifinale. Brillante, invece, il cammino di Tamberi, che vanta una vittoria in Coppa Europa, sollevamento del trofeo compreso, privilegio che spetta al capitano. Ma soprattutto il saltatore è quotatissimo grazie al 2.34 ottenuto a Chorzow in Diamond League.
L’emozione di Tamberi in qualificazione
(afp)
In una rappresentazione classica della sua emotività, Gimbo ha rischiato di uscire in qualificazione, trovando la misura solo al terzo salto, non risparmiando nulla a fine gara per flagellarsi partendo da un “mamma mia”: “Se fosse un esame sarei stato bocciato. Un disastro. Speravo di fare due-tre salti e di non spendere nulla, ma ogni volta che faccio così, faccio peggio. Ho fatto schifo dall’inizio alla fine perché la mia testa era già alla finale”. Nella quale troverà l’amico di sempre, il coinquilino dell’oro di Tokyo Mutaz Essa Barshim, salito quest’anno a 2.36, mentre prende quota il tedesco Tobias Potye diventato saltatore da 2.34. Poi il coreano Woo Sanghyeok, 2.36 di personale come l’americano JuVaughn Harrison, saltatore in alto e in lungo. C’è anche Marco Fassinotti, tornato a valicare i 2.28.
Tamberi ha partecipato a due edizioni dei Giochi e cinque dei Mondiali, compresa Budapest. Ha conquistato l’oro sfumato prima di Rio, è diventato famoso. Ha ricambiato la solidarietà di Jovanotti per l’infortunio del 2016, andando a fargli visita a Forlì dopo la caduta in bici a Santo Domingo. Ha esperienza da leader e capitano, Gimbo, ma anche una lacuna e una forte motivazione. L’assenza nel suo curriculum riguarda proprio i Mondiali, in cui non è mai salito sul podio: ottavo nel 2015, fuori in qualificazione nel 2017, ottavo nel 2019, quarto lo scorso anno a Eugene. Gli pesa, ma più che di podio, qui vuole sentire parlare di oro. “La voglio con tutto il cuore! Quell’unica medaglia che mi manca e che inseguo da 8 anni…” ha scritto su Instragram.
C’è poi un intero sistema, un gruppo di lavoro, una scelta di vita da premiare. Vincendo anche per il suo nuovo coach Giulio Ciotti. Preferito dopo dodici anni di convivenza amore/odio col padre Marco, con uno strappo che ora, assicura Gimbo, gli regala “pace mentale”. Una buona base per vincere, ma tanto si sa, anche in un monastero tibetano Tamberi sprizzerebbe adrenalina tutto il giorno.
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