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Torino, la Procura apre un’inchiesta sul migrante suicida al Cpr dopo il pestaggio. L’avvocato: “Per lui nessun supporto psicologico”

La procura di Torino ha avviato una serie di accertamenti sul caso di Musa Balde, il giovane migrante originario del Gambia morto suicida a 23 anni nel Cpr di Torino. Il ragazzo, dopo avere subito una violentissima aggressione xenofoba a Ventimiglia da parte di tre italiani ora denunciati a piede libero, era stato rinchiuso nella struttura di corso Brunelleschi perché non risultava in regola con i documenti e risultava già espulso.  “A quanto mi risulta su Musa non è stato attivato nessun sostegno di natura psicologica” afferma Gian Luca Vitale, l’avvocato che seguiva il suo caso.

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“Io non riesco più a stare rinchiuso qui dentro: quanto manca a farmi uscire? Perché mi hanno rinchiuso? Voglio uscire: io uscirò di qui” aveva detto Musa, venerdì scorso, all’avvocato Vitale. Le sue condizioni psicologiche erano preoccupanti: “L’ho incontrato due volte, giovedì e venerdì scorso – spiega Vitale – era molto provato ed era incredulo di trovarsi nel Cpr. Gli ho mostrato il video dell’aggressione, lui mi ha spiegato di essere stato picchiato mentre stava chiedendo l’elemosina. Però finora è stata divulgata solo la versione degli aggressori, che denunciano un tentato furto di un cellulare. Quello che è sicuro è che non ha avuto assistenza psicologica adeguata, era palesemente molto provato. Gli sono state fatte firmare tante carte sulla sua espulsione, ma nessun atto riguardo alla violenza di cui è stato vittima. Non si dava pace di essere chiuso nel Cpr, non sopportava la reclusione”.

Erano bastate meno di 24 ore alla polizia di Ventimiglia per raccogliere le testimonianze, guardare i filmati delle telecamere e andare a prendere i tre aggressori di Musa Balde che, in un video amatoriale rimbalzato su centinaia di profili Facebook e altri social, prendevano a bastonate il ragazzo. Sono due siciliani originari di Agrigento, di 28 e 39 anni, e uno di 44 anni, originario di Palmi (Reggio Calabria) tutti domiciliati a Ventimiglia. Per quelle bastonate, per quei cazzotti in testa e in faccia, per quei calci all’addome inflitti quando il ragazzo era già a terra, sono stati denunciati a piede libero per rispondere del reato di lesioni aggravate: “Aveva tentato di rubarmi il telefonino al supermercato” si è giustificato uno dei tre picchiatori.

Musa, invece, dopo il ricovero in ospedale, è stato trasferito dalla Liguria e Torino e rinchiuso, come “clandestino”, nel Cpr di corso Brunelleschi. Due settimane dopo l’aggressione si è impiccato con le lenzuola. A confermare la drammatica situazione in cui si trovava il ragazzo è Monica Gallo, garante per i detenuti del Comune di Torino e referente per il monitoraggio delle condizioni delle persone accolte nel Cpr di corso Brunelleschi: lo doveva incontrare domani e aveva già sottoposto il caso al garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personali, Mauro Palma.

“Musa era estremamente vulnerabile, sono addolorata – dice Gallo – Non ho ancora visto le carte, non so quante visite psicologiche e psichiatriche abbia ricevuto, ma quel caso doveva avere la massima attenzione, avevo sollecitato su questo la direzione del Cpr. Avevo contattato l’area migranti del garante nazionale proprio per capire gli aspetti cui porre più attenzione: da un punto di vista giuridico, Musa era la parte offesa di un procedimento penale”. E l’avvocato: “Adesso sto cercando di contattare i familiari in Guinea, potranno istruire azioni legali e difenderlo”. E rimane l’immagine degli ultimi istanti del video del pestaggio: Musa è riverso a terra, i tre picchiatori fuggono e la voce di una donna si chiede, più volte, sempre più flebile, “Ma perché?”

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Ora sono sempre di più quelli che chiedono che storie atroci come questa non si ripetano mai più. A partire dall’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia: “È un segno molto doloroso. Ho deciso di fare una preghiera particolare per questo fratello. La faremo con la Comunità di Sant’Egidio lunedì prossimo. Vogliamo suscitare in tutta la città una presa di coscienza dell’impegno che serve per far sì che queste persone si trovino nella condizione di non arrivare a questo punto. Se ci arrivano vuol dire che sono veramente disperate, è evidente. Dobbiamo dare loro la possibilità di sentirsi accolte e sostenute”.

Reazioni, con richiesta di giustizia per Moussa, anche sul fronte politico: “E’ una storia assurda – scrivono in una nota Maurizio Acerbo e Stefano Galieni, segretario nazionale e responsabile nazionale del Prc – Moussa non ha retto l’ennesima violenza, non capiva il perché di quelle gabbie in cui era costretto e ha scelto di togliersi la vita impiccandosi alle sbarre con un lenzuolo. Non si può essere privati della libertà personale perché non si ha un documento. Regolarizzare chi è presente sul territorio nazionale è il solo modo per impedire simili tragedie che noi chiamiamo omicidi”.

“Le immagini tolgono il respiro tanto sono violente – dice il deputato di LeU Erasmo Palazzotto – Poi Moussa è rimasto solo, accusato di furto da tre italiani, irregolare. Così solo da non ricevere neanche assistenza psicologica, finché non ce l’ha fatta più. È una storia tremenda che toglie il sonno. Faremo e farò di tutto perché si faccia chiarezza, sabato lo Stato ha fallito nel modo più doloroso il suo compito di tutela della vita umana. Davvero vogliamo permettere che in Italia un ragazzo poco più che 20enne venga trattato in questo modo? E’ questa l’accoglienza che vogliamo riservare a chi transita nel nostro Paese?”.



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