Torino, riaperto dopo 30 anni il caso della signora in rosso: test del Dna sul marito e su 4 nomadi

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Il vestito rosso era a balze e di seta, così sgargiante da trasformarsi nell’epiteto di un omicidio rimasto ancora oggi irrisolto. Quello della ” signora in rosso”, poi identificata in Franca Demichela, borghese rappresentante di moda di 49 anni, trovata senza vita da un clochard il 15 settembre 1991, abbandonata come un rifiuto sotto a un cavalcavia a Moncalieri. Strangolata, forse con la stessa collana di perle che era solita portare al collo assieme ai tanti gioielli che tintinnavano sfavillanti ai suoi polsi. Perché lei era così, appariscente ed eccentrica, ribelle e ricchissima. Trent’anni dopo, proprio quell’abito di cui tutta Torino aveva parlato potrebbe svelare chi sia stato ad ucciderla e risolvere così uno dei delitti più misteriosi e intricati avvenuti in città: una storia su cui ormai sembrava essere calato solo più buio e silenzio.

La procura ha infatti deciso di riaprire il “cold case” lasciato dormire negli archivi del secolo scorso, nella speranza che i reperti sequestrati all’epoca possano adesso raccontare qualcosa di nuovo, ed essere la chiave del giallo. Saranno esaminati a Roma a cominciare da domani, con tecniche investigative che all’epoca ancora non esistevano, per rivelare se vi sia un dna con cui finalmente incastrare chi le ha tolto la vita per poi gettarla sulle rive del torrente Chisone, sotto a un ponte della tangenziale, come un manichino tra i sassi e i rifiuti. Ora la procuratrice aggiunta Enrica Gabetta e il pm Francesco Pelosi cercheranno di dare nuova linfa a vecchie testimonianze e ai tanti indizi raccolti nel tempo. Cinque persone sono state iscritte nuovamente nel registro degli indagati, con un piccolo colpo di scena. Si è aggiunto un nome nuovo rispetto alla cerchia di sospettati su cui nel 1991 si erano concentrate le indagini.

Era stato il marito il primo a finire nel mirino degli investigatori. Franco Capra, mite ex impiegato alla Fiat e oggi anziano ottantunenne, era stato sposato per 14 lunghissimi anni con Franca Demichela. Un matrimonio difficile, per la vita sopra le regole e le frequentazioni ambigue che la moglie era solita avere. “Non aveva paura di attraversare Torino di notte da sola, sedurre sconosciuti incontrati per caso e partecipare alle feste nei campi nomadi” la descrivevano infatti le cronache dell’epoca. Per 18 giorni Capra era stato anche arrestato. Ma poi venne liberato, con tanto di scuse. Aveva spiegato di aver sopportato tradimenti e angherie, ma di non averla di certo ammazzata. Il suo alibi per quella sera, essere andato a dormire a casa dei genitori fuori Torino, a Valdellatorre, sembrava essere proprio di ferro.

A quel punto le indagini si concentrarono su tre nomadi croati, Nikola Stoianovic, Radenko Nicolic, e Nenad Jovanovic, all’epoca persino minorenne. Con loro, la ” dama in rosso” fu vista prendere un aperitivo al bar Mokita in piazza San Carlo. Non era strano. ” La signora in rosso” era solita frequentare il campo di strada dell’Aereoporto: amava farsi leggere le carte, credeva di essere la reincarnazione di Nefertiti ed era solita ripetere: ” Io sono magica e immortale “. Quell’ultima sera era stata vista con i giovani nomadi, sfrecciare in città a bordo di una rombante Golf Gti. Ma quando gli investigatori erano riusciti a risalire a loro, avevano già fatto perdere ogni traccia, scappando via da Torino. Per poi tornare solo ad inchiesta archiviata. Solo il minorenne si era presentato agli inquirenti per affermare che loro con quell’omicidio non c’entravano nulla. Gli altri due slavi erano stati invece fermati, 4 anni dopo, in un altro campo nomadi. Interrogati, avevano confermato di aver visto la vittima in centro, ma fino alle 22,30. La ” signora in rosso” era invece stata uccisa tra l’una e le due di notte.

Tre giorni fa, un quarto nomade ( assistito dall’avvocato Giorgio Bissacco) è stato ascoltato come testimone e poi indagato per l’omicidio. Aveva incontrato la vittima solo un paio di volte, ma si è detto disponibile all’esame del dna. Il suo, quello di Capra e degli altri tre croati saranno messi a confronto con le tracce rimaste sigillate nel tempo su tutto ciò che “la dama” indossava nella sua ultima notte di follia. Il vestito in chiffon, un’unica scarpa, rossa anche quella e con il tacco a spillo, il turbante che avvolgeva i lunghi capelli e la spilla, un fermaglio di brillanti con cui l’aveva fermato per sempre.

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