Tumore al seno, un prelievo di sangue rivela come muterà

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“Quando abbiamo analizzato i dati, ho avuto questa sensazione: come se finora, per ogni paziente, avessimo avuto a disposizione un libro di 500 pagine molto approfondito e con tantissime informazioni, ma con le ultime 10 – quelle con le conclusioni – incollate e illeggibili. Improvvisamente invece stavamo riuscendo a decifrarle”. Ci troviamo in un laboratorio dell’Irccs Istituto Regina Elena – Ifo di Roma e a parlare è Patrizio Giacomini, tra i ricercatori del team che ha realizzato uno studio, LiqBreasTrack, che mira a capire come il tumore al seno evolva nel tempo e come combattere la resistenza ai farmaci. In che modo? Attraverso dei semplici prelievi di sangue, come lo scienziato racconta a Salute Seno.

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Uno, nessuno, centomila: il tumore è un’entità mutevole

Qui è forse necessario fare un passo indietro, per spiegare il contesto. Per analizzare le caratteristiche di un tumore si ricorre alla biopsia del tessuto: si preleva, cioè, un piccolo campione e lo si analizza. Negli ultimi anni sono stati fatti moltissimi progressi e la tecnologia permette di sequenziare in poco tempo ampie parti del genoma – cioè il Dna – tumorale, per scoprire i suoi punti deboli. Ma i tumori non sono “statici”: sono entità dinamiche, che evolvono nel tempo anche per sfuggire all’effetto dei farmaci, e a volte cambiano così tanto da diventare insensibili al trattamento. Questo fenomeno è stato ben studiato nei modelli animali, ma è complicato documentarlo nella pratica clinica a causa del piccolo numero di cellule tumorali da cui parte questa resistenza. Senza contare che non è praticabile eseguire ripetutamente le biopsie tissutali nelle pazienti.

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Quello che mostra la biopsia liquida

Come accedere, allora, a questa “scatola nera”? Un modo è attraverso la biopsia liquida. Le cellule e il Dna tumorali, infatti, si trovano anche nel sangue dei pazienti, e portano delle informazioni in più: “Nel Dna tumorale circolante vediamo alterazioni genetiche diverse rispetto a quelle presenti nelle biopsie tissutali – continua Giacomini – e alcune possono essere bersaglio di terapie mirate: punti deboli che non saremmo riusciti a vedere altrimenti, e che possono dilatare il ventaglio di terapie per chi pensava di non averne più”.

Lo studio preliminare su 20 pazienti

I ricercatori lo hanno osservato su 20 pazienti con un tumore al seno avanzato del tipo HER2 positivo, trattate con una delle terapie standard, il farmaco T-DM1 (trastuzumab emtansine). I loro tumori mutavano rapidamente, alcuni addirittura nel giro di poche settimane, e questi cambiamenti erano ben visibili nel sangue già diversi mesi prima della effettiva progressione clinica della malattia: “Almeno il 50% delle resistenze che abbiamo trovato nel sangue non era identificabile nel tessuto del tumore, né nella lesione primitiva né nelle successive metastasi. Siamo rimasti sorpresi noi per primi”, dice Giacomini.

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Giocare d’anticipo contro il tumore

C’è un risvolto clinico molto pratico di tutta questa storia: quasi tutte le resistenze nel sangue osservate corrispondevano a farmaci a bersaglio molecolare già esistenti. In altre parole, tramite la biopsia liquida è possibile osservare in modo tempestivo se il tumore sta sviluppando una resistenza al farmaco (e di quale tipo) e, in teoria, correggere in tempo reale la terapia in base alle mutazioni riscontrate. Il condizionale, però, è d’obbligo perché lo studio – condotto da Giacomini insieme a Matteo Allegretti, ricercatore borsista della Fondazione Airc, e all’oncologa Alessandra Fabi, pubblicato su Molecular Cell – è ancora preliminare. Ecco perché è stato lanciato un secondo studio più ampio, che coinvolge 45 pazienti: se i risultati saranno confermati, ci saranno ulteriori studi con l’obiettivo di trattare le pazienti sulla base dei risultati della biopsia liquida.

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“La biopsia liquida può portare l’oncologia di precisione a un livello superiore”, dice Giacomini. “E sta cambiando il nostro modo di fare ricerca: porta a stringere rapporti continuativi e molto stretti fra chi analizza i campioni in laboratorio, il clinico che legge le analisi e la paziente. Questa ricerca è stata per noi un’esperienza unica anche umanamente: eravamo tutti insieme – donne, medici e ricercatori – uniti da uno scambio continuo di informazioni e di esperienze. Spesso – conclude – ci si dimentica che la storia della ricerca scientifica è una storia di persone”.

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