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Tumore della prostata, si apre l’era della terapia nucleare mirata

Il congresso dell’Asco 2021, che si apre ufficialmente oggi, potrebbe segnare uno spartiacque nel trattamento del tumore della prostata avanzato. Riguarda questa neoplasia, infatti, uno degli studi più attesi – Vision – che, come sottintende il nome, sembra destinato a portare un cambio di filosofia e a decretare l’arrivo definitivo della medicina di precisione anche, finalmente, per il tumore che più di ogni altro colpisce gli uomini.

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I dati dello studio Vision

Lo studio mostra infatti la possibilità di utilizzare una terapia nucleare mirata basata su un radiofarmaco, il lutezio, chiamata 177Lu-PSMA-617. Nei pazienti con tumore della prostata metastatico resistente alla castrazione e caratterizzato dalla presenza del PSMA (antigene di membrana specifico della prostata, identificato tramite un nuovo esame, la PET PSMA), l’aggiunta del radiofarmaco alla migliore terapia standard ha dimostrato, infatti, di ridurre di ben il 38% il rischio di morte a 4 mesi, e del 60% il rischio di progressione rispetto alla terapia standard da sola. “Vision è uno degli studi più rilevanti tra quelli presentati quest’anno all’Asco”, conferma Giuseppe Procopio, Responsabile Oncologia Medica genitourinaria della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano: “L’efficacia antitumorale del lutezio ha indotto un significativo vantaggio in sopravvivenza libera da progressione e globale in pazienti selezionati sulla base di un esame diagnostico innovativo: la PET PSMA”.

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La terapia con i radioligandi

Il meccanismo di azione dipende dal fatto che 177Lu-PSMA-617 è in grado di legarsi proprio al PSMA, che si trova sovraespresso nella maggior parte delle cellule tumorali della prostata. In questo modo il radiofarmaco ha la capacità di agire solo sui tessuti malati, risparmiando tutto ciò che sta attorno. La terapia con radioligandi, infatti, consiste nell’uso combinato di un composto (ligando) capace di un’azione mirata di precisione e di un radioisotopo con attività terapeutica (particella radioattiva). Dopo la somministrazione per via endovenosa, il radioligando si lega al marcatore o recettore presente sulla cellula tumorale, e il radioisotopo danneggia le cellule tumorali bersaglio, uccidendole o distruggendo la loro capacità di replicarsi. Ogni dose di 177Lu-PSMA-617 sarà prodotta specificatamente per ogni singolo paziente.

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Un farmaco facile da somministrare

“La medicina nucleare utilizza sostanze radioattive per colpire le cellule tumorali”, spiega Ettore Seregni, Direttore Struttura Complessa Medicina Nucleare Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano: “Il medico nucleare lavorerà in team con l’oncologo per valutare se il paziente è candidabile al trattamento con 177Lu-PSMA-617, analizzando i risultati della PET diagnostica eseguita in precedenza. Probabilmente questa terapia potrà essere eseguita in molti casi anche ambulatorialmente, senza quindi la necessità di ricovero del paziente. Le radiazioni emesse dal paziente, infatti, sono limitate e la radioattività diminuisce in breve tempo, per cui, seguendo le opportune precauzioni ed indicazioni, non ci sono rischi per caregiver e familiari”.

I progressi nella sopravvivenza

Sono stati approvati diversi nuovi farmaci negli ultimi anni per il tumore della prostata avanzato, ma per la prima volta questa nuova terapia sfrutta un meccanismo diverso da quello legato agli androgeni. “In 10 anni sono stati fatti grandi progressi, che hanno permesso di aumentare la sopravvivenza media da 6 mesi a oltre 5 anni”, dice Sergio Bracarda, Direttore del Dipartimento Oncologico e della Struttura Complessa di Oncologia Medica e Traslazionale dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni: “La nuova terapia mirata con radioligando, oltre a mostrare un’efficacia clinica molto promettente, rappresenta un approccio terapeutico innovativo e non cross-reagente con altri farmaci già disponibili, in una malattia complessa da trattare. Dovremo capire bene i nuovi risultati e come usare tutti i nuovi farmaci nella giusta sequenza e la gestione degli effetti collaterali”.

Il programma di accesso per uso compassionevole

Lo studio Vision per ora ha riguardato solo pazienti con alle spalle più linee di trattamento, ma sono già in corso studi per portare questo approccio nella fasi più precoci. “L’Italia non ha partecipato a questo primo studio, ma a breve anche il nostro Paese comincerà l’iter per il programma di accesso per l’uso compassionevole, probabilmente già a partire dall’ultimo quadrimestre del 202”,conclude Procopio: “I criteri saranno verosimilmente gli stessi considerati nello studio Vision, ma invitiamo i pazienti interessati a contattare il proprio centro sul territorio nei prossimi mesi per avere informazioni sulle modalità di accesso”.



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